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Home Cultura

Luis Sepulveda e Napoli, una storia d’amore

Diego Del Pozzo di Diego Del Pozzo
19 Aprile 2020
in Cultura, Terza Pagina 2.0
0

Con Napoli e la sua gente Luis Sepulveda aveva un rapporto profondo, fatto di un comune sentire e basato sulla condivisione della medesima idea del mondo e della vita. Il grande scrittore cileno scomparso giovedì a 70 anni, strappato troppo presto a tutti noi dal maledetto Covid-19, era stato per la prima volta all’ombra del Vesuvio nel 1999. E già in quell’occasione confessò che gli sarebbe piaciuto scrivere un racconto ambientato in città: “Ci metterei – raccontò a Titti Marrone del quotidiano Il Mattino – quel che ho visto andando in giro nelle vie di Napoli dalle sette di mattina: il disordine allegro di un popolo così simile a noi latinoamericani nella forma dell’essere. Gente anarchica e libera, che non si ferma ai semafori e fa quel che vuole. Poi, aggiungerei tanto mare“.

Da allora, l’autore di libri molto amati come Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e Diario di un killer sentimentale è tornato diverse altre volte in Campania, dove per esempio partecipò anche al progetto musicale e letterario Nati in riva al mondo, ideato dal chitarrista Mauro Di Domenico col Cile narrato da Napoli e viceversa. E dove sarebbe dovuto tornare proprio in questo periodo, in veste di ospite d’onore del festival Città Libro, che lo aveva invitato come protagonista di un incontro preliminare previsto per il 13 marzo a Palazzo Zevallos, prima che il Coronavirus trascinasse via le nostre quotidianità e, con esse, tutti gli eventi culturali (e non solo culturali) in programma ovunque nel mondo. Partenopeo era anche uno tra i suoi amici più cari, lo scrittore Bruno Arpaia, tanto che Sepulveda lo trasformò in personaggio letterario per inserirlo nel suo romanzo del 1999 Jacaré (peraltro, ricambiato dallo stesso Arpaia con analogo trattamento nel più recente Il fantasma dei fatti).

E poi c’è il cinema. Proprio l’amore per Napoli, infatti, convinse quasi subito l’autore sudamericano a cedere i diritti cinematografici del suo celeberrimo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare del 1996 al regista Enzo D’Alò, altro figlio di Partenope, pronto due anni dopo a trarne il bellissimo film d’animazione La gabbianella e il gatto, certamente uno tra i vertici poetici del cinema animato italiano, in grado di dare a Sepulveda (che, tra l’altro, nel film doppia il personaggio del Poeta) una popolarità enorme anche nei confronti dei lettori più piccini, contribuendo da par suo ad avvicinarli a temi importanti come l’integrazione, la solidarietà, l’ecologia. Proprio D’Alò, in questi giorni ha ricordato l’amico scomparso con un suo intervento, intenso e commosso, scritto appositamente per Il Mattino. “La prima volta che ci incontrammo, perché avrei trasformato in un film – ha rievocato D’Alò – il suo racconto La gabbianella e il gatto, riempì la nostra serata di domande e di divertimento. Non era un autore legato ai suoi libri, sapeva lasciare a un regista la libertà creativa di cui aveva bisogno. Aveva solo una richiesta, e su quella era inflessibile: nessuno avrebbe dovuto toccare il messaggio di quello scritto“. Nello stesso articolo-ricordo, D’Alò s’è poi malinconicamente soffermato anche sulla malattia dell’amico. “Quando si è ammalato di Coronavirus – ha aggiunto – gli ho mandato dei messaggi sul cellulare, sperando che avesse la forza di rispondermi. Ho aspettato e sperato. Ma avevo paura, temevo per lui. Sapevo che in passato aveva avuto una brutta polmonite, ma mi dicevo che il tempo poteva giocare in suo favore. Del resto, la sua vita non è mai stata facile, era sopravvissuto alle carceri di Pinochet e aveva lottato sulle baleniere di Greenpeace… Quale paradosso, per una persona che ha attraversato tutto questo, finire per uno stupido virus… Da solo, senza il conforto di una carezza“.

Personalmente, di Luis Sepulveda conservo un bellissimo ricordo che risale al 2002, relativo a un incontro con gli studenti delle scuole superiori napoletane che si svolse al multicinema Modernissimo, in una sala strapiena di ragazze e ragazzi, coinvolti dapprima nella proiezione di Nowhere, l’esordio come regista dell’autore cileno, con Harvey Keitel e Angela Molina nei ruoli principali; poi, al riaccendersi delle luci in sala dopo i titoli di coda, in un dibattito di straordinaria intensità e densità, con Sepulveda che fu gioiosamente travolto dall’entusiasmo degli studenti, i quali a fine film lo sollecitarono ben oltre i tempi concordati su tanti argomenti: dalla politica alla società alle prospettive future, oltre che naturalmente su ciò che avevano appena visto e sui suoi libri.

L’organizzazione di quella magnifica mattinata di cultura vera fu di una cara amica come Rita Esposito, un’operatrice culturale battagliera e sempre attenta, che da anni porta avanti con la sua Moby Dick preziose iniziative didattiche e formative sempre costruite intorno al cinema. Per gentile concessione di Rita pubblichiamo (in alto, sopra al titolo) una foto di quell’incontro (scattata da Francesco Esposito) nella quale Sepulveda è intervistato da un’altra amica che ci ha lasciati troppo presto, la vulcanica Assia Calabrese, che di Moby Dick era l’altro “cuore pulsante” assieme a Rita. Ricordo che filò tutto liscio, nonostante gli studenti fossero ovunque, seduti a terra, in piedi appoggiati alle pareti, poiché i posti a sedere nella sala grande del Modernissimo erano tutti esauriti. Io all’epoca scrivevo per il Corriere del Mezzogiorno, l’edizione di Campania e Puglia del Corriere della Sera. E ricordo come fosse oggi in particolare una cosa: il magnetismo naturale dello scrittore cileno, uno di quegli uomini capaci di riempire una sala con la sola forza del suo carisma e di un carattere forgiato da un’esistenza intensa e densa come poche altre. Davvero, come ha scritto Enzo D’Alò, è paradossale che un uomo capace di attraversare ciò che ha saputo attraversare Luis Sepulveda sia stato portato via da uno stupido, maledetto virus.

 

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Tags: Covid 19La gabbianella e il gattoLuis SepulvedaMoby DickModernissimoNapoli
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