Si chiamava Cesario Bortone ed era un operaio di 47 anni residente a Cesa, un piccolo centro dell’Agro aversano. Il 13 dicembre 2019, mentre lavorava nell’azienda presso la quale era impiegato a Teverola, non lontano da casa sua, Cesario è deceduto dopo essere stato schiacciato da una pressa, che l’ha ucciso praticamente sul colpo. La sua morte seguiva, a neanche 24 ore di distanza, quella di un immigrato sessantenne dell’Europa dell’Est, caduto da un’impalcatura durante una normale giornata di lavoro (in nero) e abbandonato a sé stesso dai suoi superiori, che lo hanno lasciato ad esalare l’ultimo respiro lungo un marciapiede di Forcella, nel cuore di Napoli, nel tentativo di evitare di dover fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni.
Sembrano storie appartenenti alla sfera dello straordinario, ma sono solo due dei capitoli conclusivi del macabro libro delle morti sul lavoro in Campania nell’anno appena trascorso, un “volume nero” che evidenzia, ancora una volta, un fenomeno preoccupante, sotto gli occhi di tutti, ma spesso relegato nel dimenticatoio. Resta proibitivo parlare di questo delicato problema. La prevenzione sui cantieri è costosa e gli imprenditori si lamentano dei balzelli statali, molto alti, che non permetterebbero loro di poter pagare i contributi e gli stipendi ai lavoratori, figuriamoci la sicurezza.
Tanti infortuni non vengono neppure denunciati, perché gli operai temono di perdere il posto. I controlli, poi, a chiusura del cerchio, sono inadeguati. L’Italia è sempre stata indietro rispetto ai suoi partner europei nella sicurezza; dal 2008 in poi la situazione è stata aggravata da una condizione strutturata di crisi economica. Ad essere stata tagliata per prima è proprio la sicurezza dei lavoratori con il ricorso sistematico agli appalti al minimo ribasso. In particolare, nei cantieri edili il personale è anziano, in nero e inadeguatamente formato: si lavora più delle otto ore contrattuali e sulle impalcature salgono addetti che hanno le condizioni fisiche né la preparazione necessarie a lavorare in sicurezza.
Il dato Inps che emerge dall’analisi della casistica regionale delle morti bianche nel 2019 ha dell’agghiacciante: nel periodo che va da gennaio a novembre, in Campania si sono registrate 59 morti sul lavoro di cui quasi la metà, 24, nella sola provincia di Napoli. A Salerno, nell’anno solare appena trascorso, ci sono stati 12 decessi sul lavoro, avvenuti durante i primi undici mesi. La provincia salernitana (con oltre 353mila lavoratori) è quindicesima in Italia per le morti bianche. Caserta si piazza al diciottesimo posto con 10 morti, Avellino al 25esimo con 9 decessi, Benevento in sessantaduesima posizione con 4 morti bianche.
Spostando la lente d’ingrandimento in ambito nazionale, la nostra regione si posiziona al quinto posto di questa infelice classifica, alle spalle di Lombardia (110 decessi), Lazio (69), Piemonte (66) ed Emilia-Romagna (65). Stando ai dati forniti dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, nel 2019 gli incidenti mortali sul lavoro in Italia sono stati 997. Se, da un lato, arriva la notizia indubbiamente positiva della diminuzione delle morti in itinere (cioè nel tragitto tra la propria abitazione e il luogo di lavoro), calate del 17% rispetto al dato del 2018, le morti avvenute sul luogo di lavoro segnano un aumento, benché minimo, di circa un punto percentuale. Nella migliore delle ipotesi, quindi, siamo ben lontani non solo dalla soluzione del problema, ma anche solo dal suo mero ridimensionamento.
Un fenomeno che, come emerge con estrema chiarezza dalle tabelle degli analisti, non ha alcuna connotazione geografica, ma investe trasversalmente tutto lo Stivale, interessando principalmente i comparti delle attività manifatturiere (107 morti nell’ultimo anno) e quello delle costruzioni (103). Da Nord a Sud, il lavoro sembra mettere a repentaglio la vita dell’operaio molto più di quanto lo possa nobilitare come essere umano.
Andando alla radice del problema, ci si rende conto di come la primissima indiziata da prendere in esame per spiegare i numeri di questa strage sia l’assenza di prevenzione, il mancato rispetto da parte dei datori di lavoro dei contratti d’impiego e delle norme di sicurezza stabilite dalla legge dello Stato. Una dinamica, questa, che va a braccetto col fenomeno del lavoro irregolare che, secondo l’Istat, in Italia vale il 12,1% del prodotto interno lordo nazionale. In uno studio pubblicato ad ottobre del 2019, riguardante il periodo compreso tra il 2014 ed il 2017, l’istituto nazionale di statistica ha stimato che nel nostro Paese il lavoro non regolarizzato riguarderebbe all’incirca 3 milioni e 700mila persone. Una cifra impressionante, alla luce della quale il numero di infortuni letali non risulta più così astruso e inspiegabile: un oceano di lavoratori invisibili, i quali si ritrovano ad operare parzialmente o totalmente al di fuori delle regole e che, troppo spesso, ne pagano le conseguenze con la loro stessa vita.