Strano ma vero, studi recenti vedono l’impiego di nanoparticelle d’oro per diagnosticare e trattare il cancro. Un sistema definito dagli scienziati per di più semplice da realizzare, vediamo il perché. Queste nanoparticelle, definite AuNPs, sembrano offrire numerosi vantaggi d’utilizzo in quanto, grazie a protocolli via via migliorati nel tempo, si è giunti al raggiungimento di dimensioni ricadenti nell’intervallo di 1-150 nm e proprietà sia ottiche sia chimiche davvero uniche. Le AuNPs assorbono e diffondono la luce con straordinaria efficienza ed è proprio su questo dato che si basa lo studio che ne vede l’impiego nella diagnosi tumorale. Se eccitate da radiazioni luminose a specifiche lunghezze d’onda, esse rispondono in maniera peculiare, distinguendosi da particelle di egual dimensione. Inoltre, potendo intervenire su dimensioni e forma è possibile modulare proprio l’assorbimento e la diffusione.

Se questi sono i vantaggi dal punto di vista ottico, quelli chimici non sono da meno. Le nanoparticelle di oro sono in grado di legare chimicamente numerosi agenti terapeutici efficaci contro il cancro. La buona biocompatibilità e distribuzione all’interno di cellule e tessuti le rende ottime candidate per lo sviluppo di terapie del tutto innovative. Gli attuali approcci terapeutici le vedono coinvolte in processi che sfruttano il calore, in quanto le cellule cancerose muoiono a seguito dell’ipertermia provocata, con il raggiungimento di temperature pari a 41-47° C per decine di minuti. Rivediamo quindi in termini più semplici la logica del processo: le nanoparticelle sottoposte a luce infrarossa generano calore che degrada le proteine e “cuocendo” così le cellule tumorali in cui si accumulano in maniera del tutto specifica. Un effetto definito pertanto fototermico. Non sembra esservi nemmeno rischio di accumulo del metallo quanto piuttosto una sua eliminazione sia epatica sia renale.
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