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‘Ndrangheta e contributi Covid: 45mila euro ad aziende “amiche” e 8 arresti

A ottenere vantaggi dai fondi elargiti per l’emergenza Coronavirus sono stati i clan Greco e Grande Aracri della provincia di Crotone

Pier Paolo De Brasi di Pier Paolo De Brasi
14 Luglio 2020
in Italia
Bonus Covid

45mila euro a tre società della ‘ndrangheta. Ha fatto presto la mafia calabrese ad accaparrarsi i contributi a fondo perduto diretti alle aziende sprofondate nella crisi per l’emergenza Coronavirus e previsti dal Governo con il Decreto rilancio dello scorso 19 maggio. Non ha fatto in tempo, invece, ad intascare i soldi annunciati da un precedente provvedimento dell’esecutivo, il Decreto liquidità dell’8 aprile. È arrivata per prima la Direzione distrettuale antimafia di Milano, con l’indagine coordinata dalla Procura del capoluogo lombardo, precisamente da Alessandra Dolci procuratore aggiunto e Bruna Albertini pm.

L’inchiesta, che si è avvalsa degli investigatori del Gico della guardia di finanza, ha portato all’arresto di otto persone e a sequestri per 7 milioni e mezzo di euro. Una truffa nel settore dell’acciaio partita da società che emettevano false fatture e condotte da prestanome che coprivano il giro di denaro dell’organizzazione malavitosa. I 45mila euro sono stati chiesti e ottenuti a favore di tre società guidate da uomini vicini alle ‘ndrine della provincia di Crotone. In particolare, il nucleo di polizia economico-tributaria della guardia di finanza di Milano, ha scoperto che a ottenere vantaggi dai contributi elargiti per l’emergenza Covid-19 sono stati i clan Greco di San Marco Marchesato e Grande Aracri di Cutro, quest’ultimo presente in Emilia Romagna e coinvolto nel maxi processo ‘Aemilia’,  il primo nella regione contro la ‘ndrangheta.   

Le aziende, quindi, erano gestite da uomini delle cosche, con teste di legno pronte ad eseguire gli ordini per ripulire il denaro e inviarlo in Bulgaria o Inghilterra. Questo era il percorso dei soldi provenienti dai traffici illegali ‘tradizionali’. Grazie alle indagini effettuate, il Gico è riuscito a risalire a circa mezzo milione di euro riciclato. L’emissione di fatture false, invece, ha permesso ai clan di accedere al contributo statale, ma il volume vero degli affari, naturalmente, non corrispondeva a quanto riportato sui documenti fiscali. Insomma, si è verificato quanto previsto da magistrati esperti e impegnati nella lotta la criminalità, come Catello Maresca, Nicola Gratteri e Raffaele Cantone: il virus non ha spazzato via le mafie, pronte a mettere le mani sui finanziamenti statali.  

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