“Ho rinunciato a festeggiare i miei primi 40 anni per restare a Milano e affrontare il Covid-19, ma anche per salvare la mia famiglia”. Nicola Arena, giovane infermiere di Aversa che lavora a Milano, nell’Azienda socio sanitaria territoriale Melegnano, presso l’ospedale di Cernusco sul Naviglio, racconta la sua personale esperienza. Da dodici anni presta servizio nel reparto di ortopedia.
“Ho sognato e organizzato da tempo il mio compleanno – dice – ero pronto con le valigie in mano per partire e andare ad Aversa dalla mia famiglia. Ma, poi, la mia coscienza e il mio cuore mi hanno consigliato di non partire e restare a Milano. Così proprio nel giorno del mio compleanno tutto è cambiato, il primo marzo, da quando è arrivato questo maledetto e subdolo nemico oscuro, che senza gambe e senza braccia corre più forte di noi”.
Nicola ha visto cambiare la propria vita professionale in poche ore. “Ho visto riorganizzare un ospedale intero – continua – non ci sono più colleghi dei vari reparti predefiniti, ma siamo tutti operatori sanitari di un unico ospedale e dello stesso reparto, chiamato Covid-19. Sapete, i Dpi fanno male, lasciano i segni sul volto, i lividi, fanno sudare. Una volta che hai indossato quella tuta non puoi mangiare, non puoi bere per almeno 8 ore consecutive. Hai paura di toccarti con i guanti sporchi, con il rischio di contagiarti e di contagiare”.
La battaglia Nicola la vuole vincere a tutti i costi, “ma ci vogliono le armi giuste”, afferma. “In questi giorni – rivela l’infermiere aversano – ho visto il terrore negli occhi dei miei colleghi, dei medici e degli anestesisti, ma noi non lo facciamo trapelare oltre le mascherine. Ho visto lo spavento e la paura negli occhi dei pazienti che devono stare soli in un letto 24 ore su 24 e possono solo guardare una parete bianca. I pazienti hanno solo il conforto del mio sguardo quando somministro loro la terapia dietro una visiera o degli occhiali”.
Essere un infermiere ai tempi del Coronavirus significa esprimere i sentimenti solo attraverso uno sguardo sia esso di paura sia di smarrimento, di sofferenza e di preoccupazione. “Per questo vi invito a stare a casa – conclude Nicola – ve lo dice chi ha visto gli occhi della sofferenza”.
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