Oggi, 21 settembre, si celebra la Giornata mondiale dell’Alzheimer
La giornata è l’occasione per promuovere e sensibilizzare la conoscenza di questa patologia. In Italia, 1 milione i colpiti da demenza, di cui il 50-60% con Alzheimer
La Giornata Mondiale dell’Alzheimer e stata istituita nel 1994 dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Alzheimer’s Disease International, ha come obiettivo accrescere la sensibilità e la consapevolezza su una patologia che rappresenta almeno il 60% delle 150mila nuove diagnosi di demenza.
Attualmente in Italia i casi di demenza sono circa 1,2 milioni, di cui 600mila con Alzheimer, un dato destinato a raddoppiare entro il 2030. La prognosi media della malattia di Alzheimer è di 12 anni e le persone coinvolte nell’assistenza sono 3 milioni, soprattutto donne. All’inizio la malattia si manifesta con lievi problemi di memoria che nel tempo possono acuirsi ed evolversi in gravi deficit cognitivi: la persona che ne è colpita soffre di disorientamento riguardo al tempo, le persone e lo spazio; trascura la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione. In chi sviluppa la malattia si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e altre funzioni cognitive.
L’Alzheimer, come le altre forme di demenza, ha un notevole impatto a livello socio-sanitario, sia per il numero sempre maggiore di famiglie coinvolte, sia perché richiede una qualificata rete integrata di servizi non sempre disponibili. Già oggi queste patologie rappresentano una delle maggiori cause di disabilità e non è escluso che, con il progressivo invecchiamento della popolazione, il suo impatto in termini di risposta sanitaria sarà sempre più rilevante in un futuro non troppo lontano.
Al momento non esiste una cura per l’Alzheimer e da anni i ricercatori di tutto il mondo sono al lavoro per capire quali siano le cause scatenanti della malattia. Un recente studio internazionale pubblicato su Nature ha individuato 75 regioni del genoma associate all’Alzheimer, 42 delle quali mai implicate prima. “Questo studio è un enorme passo in avanti per capire meglio i meccanismi cellulari alla base dell’Alzheimer. Era noto che ha una forte componente genetica, ma le 42 nuove regioni scoperte hanno aperto ulteriori strade per la ricerca terapeutica“, ha riferito Sandro Sorbi, ordinario di Neurologia presso l’Università di Firenze, coinvolto nella ricerca. A pesare però, accanto ai geni, sono anche le abitudini, a partire da ciò che si mangia. “Fatto confermato – prosegue Sorbi – anche da una ricerca internazionale che ha analizzato le diete di oltre 2000 adulti raffrontandole con l’incidenza della malattia“. Se la predisposizione genetica non è modificabile, per prevenire l’Alzheimer è importante adottare un corretto stile di vita e mantenersi attivi, sia fisicamente, che nella vita sociale. Aspetti su cui stanno indagando diversi progetti di ricerca promossi dall’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer (Airalzh).
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