Ancora una volta Orta di Atella si trova al centro delle cronache quotidiane del degrado e dell’abbandono, ancora una volta emergono le vite difficili dei cittadini ortesi risucchiate dalla speculazione e dalla pianificazione edilizia selvaggia che ha devastato un intero territorio. Già questa estate ci eravamo occupati dell’ex area Pip, trasformata in una discarica a cielo aperto; adesso, invece, il nostro viaggio prosegue tra le storie di disagio e di umiliazione quotidiana che sono costretti a vivere i residenti della località San Pietro, meglio conosciuta come zona “Laghetto”. Si tratta di un’area molto vasta, situata a Nord della frazione di Casapozzano, al confine con Marcianise: qui, negli anni Duemila, sono sorti enormi complessi residenziali che col tempo hanno attirato persone provenienti da ogni angolo della province di Napoli e Caserta, attratte dai prezzi a buon mercato delle abitazioni. “Laghetto” perché in passato vi sorgeva il famoso ristorante The opera, un’imponente struttura ricettiva situata su un isolotto circondato da un meraviglioso lago artificiale esteso su una superficie di circa diecimila metri quadrati e immersa nel verde del parco San Pietro, luogo ideale per passeggiate con la famiglia e con gli amici, regalando la possibilità ai visitatori di avere un contatto diretto con la natura pur restando a due passi da casa. Oggi, però, non esiste più nulla di tutto questo, e come in una favola buia il grigiore del cemento ha preso il sopravvento sul verde rigoglioso della natura.
Molti hanno investito qui i sacrifici di una vita di lavoro, attivando un mutuo e comprando casa, inconsapevoli che gran parte di quei palazzoni non sarebbero mai dovuti sorgere lì, in quel luogo, perché costruiti su lottizzazioni abusive. Ma ormai gran parte dello scempio edilizio era già stato portato a compimento, prima ancora che arrivassero le inchieste della magistratura a sequestrare i cantieri. Le tangenti erano già state intascate dagli imprenditori collusi e dai politici corrotti che andavano a braccetto con la criminalità organizzata, in particolare col clan dei Casalesi, che aveva costruito nel cuore dell’Agro atellano parte dei suo impero criminale. Nel frattempo molte persone, ignare di ciò che si nascondeva dietro al boom edilizio di quegli anni, erano venute ad abitare a Orta di Atella realizzando finalmente il sogno di poter possedere una casa tutta loro. Mai potevano immaginare l’esistenza di un sistema criminale così radicato e pervasivo, e mai avrebbero potuto prevedere che a lungo andare tutti i sacrifici fatti in passato si sarebbero dileguati in una coltre di fumo. Nella stessa maniera, nessuno di loro possedeva una sfera di cristallo tra le mani capace di presagire che al danno si sarebbe presto unita la beffa di vivere in un’area gravemente provata dal degrado e dall’abbandono.
Ed è proprio per costruire un argine a questa situazione ormai divenuta insostenibile che i residenti della zona hanno deciso di istituire un comitato di quartiere. Sono almeno quattrocento le famiglie che vivono in quest’area: si tratta di almeno duemila persone, soprattutto giovani coppie con bambini ma anche interi nuclei familiari che ogni giorno devono affrontare molteplici disagi e difficoltà. “Ci hanno abbandonati, viviamo in un quartiere ghetto”, esordiscono gli abitanti in preda alla disperazione, per poi proseguire: “La nostra doveva essere una tra le zone più belle della città e invece anni di incuria e di disinteresse da parte delle istituzioni l’hanno trasformata in un inferno dal quale viene voglia di scappare. Se non siamo andati via è perché vogliamo restare qui e cambiare le cose”. Le parole dei membri del comitato sono inequivocabili e trasudano di consapevolezza e di coraggio, perché è questo l’unico termine adatto per descrivere la loro volontà di restare qui e di lottare per la loro dignità nonostante questi luoghi sembrino dimenticati anche da Dio.
“Ogni giorno, per rientrare a casa dal lavoro, o magari quando usciamo per andare a fare la spesa, siamo costretti a fare lo slalom tra le voragini che si aprono in mezzo alla strada, e diventano a vista d’occhio sempre più larghe e profonde. Per non parlare della sera. Senza illuminazione fa davvero paura uscire da casa senza che qualcuno ti faccia compagnia”. La descrizione che ne danno i residenti è quella di un quartiere abbandonato e senza servizi, nel quale sono anni che non si vede un minimo di manutenzione stradale. Durante questi giorni di maltempo che s’è abbattuto violentemente su tutto il Casertano, lo scenario che si apre davanti agli occhi è quello di strade allagate e completamente impraticabili, percorrendo le quali si corre il serio rischio di rimetterci una ruota o le sospensioni dell’auto. L’intera area a ridosso delle campagne è priva di un sistema fognario funzionante e ciò causa continui allagamenti.
La visita del quartiere procede con cautela lungo via Masseria del Barone, trasformata in un pantano dalle piogge, per poi proseguire verso l’uscita dell’asse mediano, in via Marco Pantani. Gli stessi identici problemi si ripresentano in via Gino Bartali e in via Fausto Coppi, luoghi che di evocativo hanno solo i nomi degli sportivi che hanno segnato la storia del ciclismo italiano, strade che non è possibile percorrere né a piedi né in bici (per uno strano scherzo del destino). Su via San Pietro, che taglia in due i plessi residenziali e corre parallela alla strada provinciale che porta a Marcianise, lo scenario di desolazione non cambia: davanti agli occhi compaiono cumuli di rifiuti agli angoli delle strade quasi a incorniciare quello che un tempo era un ambiente quasi bucolico, ora dilaniato da grossi palazzoni di cemento molti dei quali mai terminati.
“È tutto fermo e immobile ormai da anni. Nessuno si è mai interessato veramente di risolvere i nostri problemi – esclama arrabbiato uno dei cittadini -. Si ricordano di noi solo quando ci sono le elezioni. Il giorno dopo, una volta che ci hanno promesso di tutto, scompaiono come fantasmi. Eppure noi non chiediamo chissà cosa, vorremmo solo avere la possibilità come tutti di far crescere con serenità i nostri figli in un quartiere sicuro e vivibile”. La vivibilità è, infatti, una delle note dolenti che riguardano l’intera area. Alcuni residenti descrivono la costante presenza di grossi ratti, insetti e rettili che proliferano tra l’immondizia maleodorante che giace in strada anche per settimane, senza che nessuno provveda a raccoglierla.
Di recente c’è stato un incontro tra i cittadini e il consorzio che gestisce la raccolta dei rifiuti per trovare una soluzione al permanere dell’immondizia tra le strade. Non si tratta però solamente di rifiuti solidi urbani, sintomo dell’inciviltà di qualcuno; spesso vengono sversati nelle campagne circostanti anche rifiuti industriali come amianto, guaine, pneumatici, materiale edile e scarti di pellami, abbandonati da qualche farabutto che non ha voluto pagare le spese per lo smaltimento. “Ci hanno detto che a breve troveranno una soluzione, speriamo che sia così perché non ne possiamo più”, afferma un cittadino con tono amareggiato e disilluso dopo le decine di telefonate a vuoto effettuate al comando locale dei vigili per segnalare il problema.
L’altra nota dolente è quella della sicurezza, tema molto sentito soprattutto tra le mamme del quartiere. Alcune strade sono completamente prive di illuminazione e alle sei del pomeriggio, complice l’assenza di servizi e di negozi, sembra calare il coprifuoco. “La sera abbiamo paura di tornare a casa da sole – ribadisce una delle mamme – e senza nessuno per strada potrebbe succederci qualsiasi cosa”. La donna è visibilmente scossa e conferma la totale assenza di controlli da parte delle forze dell’ordine, che da queste parti si vedono di rado. L’area, a differenza di altri quartieri, non è nemmeno videosorvegliata. Molti cittadini, inoltre, sono intimoriti dal continuo viavai di persone estranee, spesso incappucciate e difficilmente riconoscibili, e dalle numerose auto sospette che a notte inoltrata gironzolano per il quartiere senza meta. Stando alle testimonianze e alle descrizioni raccolte tra i residenti, c’è il forte sospetto che la zona sia diventata, dulcis in fundo, anche una piazza di spaccio per le sostanze stupefacenti. Ma d’altronde si sa, il degrado chiama a sé altro degrado come un cane che si morde la coda.
Questo viaggio fatto di immagini tristi, racconti e testimonianze finisce nei pressi del parco Aprovitola, con alle spalle gli scheletri dei palazzoni mai terminati durante gli anni del boom edilizio, cicatrici indelebili della speculazione che ha devastato il territorio. Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, sicuramente lo è per gli abitanti del quartiere, i quali non si sono mai arresi nemmeno di fronte all’inerzia delle istituzioni e aspettano che un giorno le stesse si risveglino dal torpore ormai decennale e si preoccupino finalmente di risolvere i problemi di un quartiere che rischia di ammalarsi di incuria, di bruttezza e di degrado. Per troppi anni i cittadini ortesi sono stati lasciati soli a combattere contro i problemi e i disagi del proprio paese come Don Chisciotte contro i mulini al vento: è arrivato il momento di cambiare rotta e ricucire quel senso di comunità e di solidarietà che i signori del cemento hanno provato a spazzare via sacrificando sogni, speranze e desideri di un’intera comunità.
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