È da gennaio 2023 che milioni di pensionati sono in attesa dell’incremento promesso dal governo e previsto dall’ultima Legge di Bilancio. Ma i soldi non sono mai arrivati. Adesso sembra che tutto si sia sbloccato: gli aumenti potrebbero arrivare nel prossimo mese di luglio. I contatti tra il Ministero del Lavoro e l’INPS hanno chiarito alcuni dubbi sulle modalità di pagamento e sulla platea dei beneficiari e dunque gli importi saranno erogati dai prossimi mesi e comprenderanno gli arretrati da gennaio 2023.

Obiettivo è arrivare a garantire a tutti i pensionati ultrasettantacinquenni, da subito, un importo che sfiora i 600 euro al mese e che arriva a 572,20 euro per quelli più giovani, fino a raggiungere 1000 euro di pensione minima entro la fine della legislatura.
In occasione dell’approvazione del Documento di Economia e Finanza, lo scorso 28 aprile, il Parlamento ha perciò votato una risoluzione nella quale chiede al Governo di valutare gli spazi per un aumento ancora maggiore già dalla Legge di bilancio 2024. Intanto sappiamo che l’incremento deciso a gennaio sarà riconosciuto con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento da gennaio 2023 a dicembre 2024, inclusa la tredicesima. La percentuale da applicare nel 2024 non si somma però a quella del 2023. I trattamenti di poco superiori al minimo saranno aumentati fino a concorrenza dell’importo derivante dall’applicazione dell’incremento sul minimo.

Ecco chi prenderà di più da luglio e di quanto saranno gli aumenti
Gli ultrasettantacinquenni passeranno dagli attuali 563,74 euro al mese a 599,82 euro, per un aumento stimato di 36,08 euro in più. Gli altri riceveranno una pensione minima di 572,20 euro al mese e dunque 8euro in più. Gli aumenti saranno effettivi per coloro il cui reddito personale non supera il minimo annuo previsto dalla legge oppure, se coniugati, per coloro il cui reddito personale sommato a quello del coniuge non supera di quattro volte il trattamento minimo.
I beneficiari degli aumenti saranno tutti coloro che già percepiscono la pensione minima. Restano infatti in vigore le norme generali secondo le quali l’integrazione al minimo si aggiunge alle pensioni di qualsiasi tipologia, ad esclusione delle pensioni supplementari e di quelle calcolate esclusivamente con il sistema contributivo, quando queste non raggiungono il minimo definito dalla legge. Se il pensionato è titolare di più trattamenti, a partire dal 1983, l’integrazione viene riconosciuta su una sola pensione, alla quale si applicheranno gli aumenti. Dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 503 del 1992 (riforma Amato), modificato poi dalla riforma Dini (legge 335/95), per il diritto alla pensione minima dei pensionati coniugati, è necessario considerare il reddito personale annuo sommato a quello del coniuge. La regola resterà valida per le pensioni minime liquidate dopo il 1° febbraio 1994.
Dunque, il pensionato non coniugato avrà diritto al massimo importo di integrazione, aumentato in percentuale variabile in base all’età, se il suo reddito personale non supera l’importo minimo annuo fissato dalla legge, ossia la pensione del mese di gennaio di ciascun anno moltiplicata per 13.
Il pensionato coniugato dovrà invece avere un reddito complessivo, sommato a quello del coniuge, che non supera di quattro volte il minimo annuo, se la pensione è stata erogata dopo il 1° gennaio 1995. Le pensioni che decorrono dal 1994 hanno invece un limite pari a cinque volte il reddito minimo annuo ed anch’esse saranno aumentate secondo l’età del beneficiario.
