“Approvate il testo della legge costituzionale concernente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana numero 240 del 12 ottobre 2019?”. È questa la domanda presente sulla scheda per il referendum costituzionale sul quale gli italiani sono chiamati al voto domani, domenica 20, e lunedì 21 settembre. La scheda è di colore celeste e la risposta al quesito dovrà essere una sola: una croce sul Sì oppure sul No. La vittoria del Sì porterebbe alla riduzione del numero dei membri nelle due assemblee rappresentative che compongono il Parlamento italiano: alla Camera dei deputati passerebbero da 630 a 400, al Senato della Repubblica da 315 a 200. La vittoria del No lascerebbe, invece, tutto invariato. In quanto referendum costituzionale, per la sua validità non è necessario il raggiungimento di un quorum.
Sono chiamati alle urne 46 milioni e 600mila italiani, molti dei quali dovranno scegliere anche i sindaci degli enti locali di residenza e i presidenti di sei Regioni (Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia). È il cosiddetto Election day, che avrà il suo clou al momento dello spoglio. Si voterà domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. E subito dopo inizierà lo scrutinio, con il computo delle schede sul referendum, seguito a ruota dalle regionali. Martedì 22 settembre dalle 9, quindi, si effettuerà lo spoglio per le elezioni comunali. La campagna elettorale per il referendum costituzionale è partita in sordina, sopraffatta dai dibattiti e dalle polemiche sulle regionali. Nell’ultima settimana prima del voto, però, ha subito un’impennata d’interesse, con i comitati per il No e per il Sì che hanno aumentato gli sforzi per convincere gli elettori sulle loro ragioni, ma soprattutto sono cresciuti i pareri di molti esponenti della politica e della cultura, nonché di costituzionalisti.

Tra le ragioni del Sì, quella che potrebbe avere maggiore presa sull’elettorato è sicuramente la riduzione dei costi della politica e il risparmio per lo Stato che si verrebbe a creare con 345 parlamentari in meno. Sempre secondo i sostenitori del Sì, un altro motivo per confermare ciò che già il Parlamento ha approvato sarebbe la maggiore efficienza delle due Camere. Un numero inferiori di componenti, è l’opinione di chi è favorevole al taglio del numero degli onorevoli e dei senatori, renderebbe più agevole il lavoro delle due assemblee, con la conseguenza di una maggiore velocità nell’approvazione o meno delle leggi. C’è chi, infine, ritiene il Sì al referendum un punto di partenza per una stagione di riforme, a partire da quella della legge elettorale. I leader dei maggiori partiti, da Luigi Di Maio a Nicola Zingaretti, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, si sono tutti espressi per il Sì, così come l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta.
Dalla parte opposta della barricata la vittoria del Sì è vista come fumo negli occhi. Si parte dalla minore rappresentanza democratica, che sarebbe un rischio per la stessa democrazia, alla difesa della Carta costituzionale, ritenuta intoccabile. Entrando ancora di più nel merito, per i sostenitori del No vi sarebbe una minore o quasi nulla rappresentanza dei territori più piccoli (ad esempio Valle d’Aosta e Molise) nel caso passasse la riforma. Anche la maggiore efficienza del Parlamento è messa in discussione da chi si batte per la vittoria del No. In particolare, il Senato avrà difficoltà a formare e far funzionare le commissioni, rendendo i lavori dell’aula meno snelli. La maggiore efficienza delle due assemblee non è data, secondo coloro che difendono lo status quo, dal numero dei parlamentari, ma dal bicameralismo perfetto, che ne rallenta il lavoro. Infine, chi punta alla vittoria del No replica anche sull’effettiva efficacia della riduzione dei costi della politica, che sarebbero alti non tanto per il numero dei rappresentanti del popolo, ma a causa della spesa per i dipendenti che lavorano nel Parlamento, molto più alta di quella degli altri Paesi europei. Per il No si sono espressi Carlo Calenda, Romano Prodi, Walter Veltroni e la senatrice a vita Liliana Segre.
Divisioni esistono anche tra i costituzionalisti: a favore del Sì, infatti, sono Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky e il presidente emerito della Corte costituzionale Ugo De Siervo; per il No, invece, Maria Elisa D’Amico, che ha firmato un appello con altri 182 costituzionalisti, tra i quali Vincenzo Casamassima, Alessandro Pace e Giuseppe Tesauro, anche lui presidente emerito della Consulta. Infine, un accenno doveroso va fatto sulle norme di sicurezza ai seggi. Come ha affermato il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri durante un evento che si è svolto a Bologna, saranno attivati protocolli per evitare gli assembramenti, con percorsi di entrata e di uscita, mascherina obbligatoria fin sopra il naso, gel disinfettante presente all’esterno e all’interno dell’edificio, infine matita disinfettata al termine di ogni operazione di voto. Non è prevista, invece, alcuna misurazione della temperatura corporea.
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