Un vento gelido e pungente rende ancora più fastidiosa l’inconsueta pioggerellina leggera, ma fitta e insistente. L’atmosfera è quella di una Londra appena sveglia, in un mattino di fine dicembre; eppure siamo a Napoli, in piena periferia, quella ormai tristemente nota in tutto il mondo per le vicende di camorra. Sullo sfondo le Vele di Scampia, relitti di pietra abbandonati nel degrado, che testimoniano il totale fallimento di un progetto: ridare nuova vita al difficile quartiere napoletano, con costruzioni avveniristiche e belle da vedere, come bandiere spiegate all’orizzonte.
Fino a qualche anno fa, quando i muri degli edifici non erano ancora completamente scrostati, le Vele nascondevano alcune delle tante piazze di spaccio, quelle delle file di tossici a cielo aperto che si vedono anche nella serie Tv Gomorra. Oggi, davanti ai nostri occhi, una realtà completamente diversa. Scampia è quasi deserta quando non si incontrano troupe televisive e cinematografiche, che hanno scelto questo luogo come set naturale per fiction e film di successo.
Un tempo, nelle piazze e nei vicoli, si spacciava alla luce del sole. Ciò accadeva fino al periodo delle faide della camorra, quando c’erano mercati aperti e gruppi di drogati ad attendere il loro turno per acquistare dosi di eroina e altri stupefacenti. Poi, con la caduta degli storici cartelli della camorra, rappresentati dalle famiglie Di Lauro e Amato-Pagano, qui e in altri quartieri napoletani sono quasi del tutto scomparse le tradizionali piazze dello spaccio. È il tempo degli scontri interni alla criminalità organizzata, delle scissioni della camorra, cominciate nei primi anni del 2000 e terminate nel 2012, anche grazie all’opera investigativa e agli arresti delle forze dell’ordine.
A distanza di quasi un ventennio, sono state smantellate ventitré piazze dello spaccio solo a Scampia; di venticinque ne sono rimaste due, ma questo non significa che il traffico di stupefacenti sia diminuito. Secondo gli inquirenti napoletani, “sono solo cambiate le modalità”. Lo spaccio di droga, in particolare di eroina, di nuovo in ascesa a Napoli, si è industrializzato. Veri e propri imprenditori, con disponibilità economiche importanti si rivolgono a gruppi di clienti con una vendita che avviene soprattutto via telefono, fissando appuntamenti specifici.
A conferma di ciò, sono arrivati anche i primi arresti. Mesi fa è accaduto, nel quartiere tra Chiaiano e Piscinola, che un agente della polizia ha risposto a una telefonata giunta sul telefonino di uno spacciatore, mentre veniva fermato dalle forze dell’ordine. Per avere ulteriore conferma, il poliziotto ha finto di accordarsi con il cliente per la consegna della droga. Consegna che non è mai avvenuta, perché il proprietario del telefono è stato arrestato con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti.
È un mercato in costante evoluzione quello al telefono e coinvolge soprattutto i più giovani, spesso insospettabili, professionisti e figli della Napoli bene, che possono acquistare l’eroina e altre droghe da casa, tranquillamente, senza avere contatti con piazze e spacciatori. Ultimamente, anche se il fenomeno qui è ancora circoscritto, si stanno sviluppando altri canali, come la rete internet, in particolare il deep web (la rete alternativa, invisibile, dove è quasi impossibile intercettare le transazioni). La criminalità organizzata ha capito che il nuovo business è lì. Affidando la gestione della rete ad hacker esperti, il gioco è fatto, e l’affare diventa quasi invisibile.
Questo fenomeno è cresciuto velocemente negli ultimi anni. All’interno della direzione centrale per i Servizi antidroga di Roma, lavora dal 2014 la sezione operativa [email protected], con agenti che hanno il compito di monitorare la rete, a livello nazionale, per prevenire e contrastare il commercio illegale di droghe e coordinare le attività di repressione sul territorio. Si tratta di un nucleo interforze: ci sono carabinieri, poliziotti e finanzieri. Ormai il commercio delle sostanze sintetiche di ultima generazione avviene attraverso circuiti alternativi rispetto a quelli dello spaccio tradizionale. “Il 9% degli studenti che ha fatto uso di sostanze illegali – fanno sapere dalla sezione [email protected] – riferisce di poterle reperire facilmente via web, avendo maggiori sicurezze di non essere scoperti”.
Ciò ha contribuito alla trasformazione del metodo di spaccio anche nel Napoletano. Gli avvenimenti degli ultimi anni ci invitano ad analizzare nello specifico il territorio, a guardare con i nostri occhi i quartieri più periferici di Napoli, come appunto Scampia, ma anche le aree a rischio nel centro storico. Ed effettivamente ci si accorge, girando anche per le piazze e le strade del Pallonetto di Santa Lucia, che i vecchi luoghi dello spaccio non esistono quasi più, soppiantati dal nuovo corso del narcotraffico, basato su moderni e più sofisticati strumenti di comunicazione.
Ma al posto delle tradizionali piazze di spaccio, oggi cosa c’è? Quei luoghi di illegalità e morte adesso sono popolati da centri sociali, specie a Scampia. Alcuni luoghi malfamati sono stati bonificati dai volontari e oggi ospitano scuole di musica, doposcuola, laboratori teatrali, un polo di associazioni e una comunità di alloggio per minori.
La camorra ha le casse vuote e non è più conveniente spacciare a Scampia; chi un tempo svolgeva attività illecite, adesso chiede di lavorare nelle cooperative sociali, perché è meno rischioso del trafficare droga. Gli stipendi degli spacciatori sono calati, tutto il sistema è cambiato, e le loro richieste non sorprendono i volontari e neppure le forze dell’ordine.
Non sempre, però, le associazioni che operano sul territorio hanno finanziamenti sufficienti per svolgere le loro attività. Questo il cruccio che assilla i responsabili dei sodalizi anticamorra. In questo territorio non si è ancora sviluppata del tutto la cultura dell’antimafia sociale, fatta salva quella di facciata, perché manca il sostegno concreto delle istituzioni. La politica dovrebbe programmare, realizzare progetti, intercettare fondi europei per favorire le imprese sociali, quelle vere, che operano realmente sul territorio, dar vita a un sistema virtuoso, utile a creare lavoro per le persone a rischio. Scampia non andrebbe più additata come quartiere dello spaccio, ma non è diventata neppure presidio dello Stato. Rischia di rimanere in un limbo, se non ci saranno gli investimenti del Governo.
L’idea dei volontari è creare una rete di economia sociale capace di essere produttiva e incisiva, svincolandosi dalle logiche assistenzialistiche, per far ricadere i frutti delle attività sul territorio. Per questi motivi diventa sempre più urgente la necessità di inventarsi continuamente nuovi strumenti di riscatto. Non bisogna dimenticare cos’era questo quartiere appena dieci anni fa. A Scampia si uccidevano sessanta persone in sei mesi, tre ogni giorno. Giulio Ruggiero, pregiudicato, fu trucidato davanti allo stadio di Scampia, Gennaro Ricci fu ammazzato nelle Vele e Antonio Landieri, vittima innocente di camorra, nei 7 Palazzi. In molti di questi luoghi oggi operano validi presidi culturali. Tuttavia, i dubbi restano. Si tratta di una vera svolta, oppure la smobilitazione delle piazze dello spaccio a cielo aperto dei quartieri napoletani è solo conseguenza dell’innalzamento del livello di traffico di droga? Gli inquirenti non hanno dubbi: “Gli affari del narcotraffico non sono diminuiti, così come gli effetti nefasti sui territori, si utilizzano semplicemente metodologie e sistemi diversi”.
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