Si afferma, giorno dopo giorno, la convinzione che esista un nesso tra la carenza di vitamina D e la maggiore esposizione al Coronavirus. Dati alla mano hanno mostrato una notevole incidenza dell’infezione da Covid-19 in pazienti con ipovitaminosi D (anziani, soggetti con patologie da malassorbimento, soggetti affetti da patologie epatiche o renali). Ma quali sono le fonti di vitamina D? Il corpo umano in qualità di “macchina perfetta” è in realtà capace di sintetizzarla a seguito dell’esposizione alla luce solare e persino di accumularla per poterla poi “razionalizzare” anche nei mesi invernali, mesi in cui l’esposizione solare è minore. Non è un caso che d’estate si riducano le infezioni virali e viceversa si manifesti un picco nei mesi invernali.
Ma come si spiega? È scientificamente provato, difatti, il ruolo della vitamina D a supporto del sistema immunitario, che stimola la produzione di specifici recettori sulla superficie delle cellule deputate alla difesa del nostro organismo verso agenti patogeni esterni, facilitandone il loro riconoscimento. Altrettanto dimostrato è il ruolo in patologie a carico dell’apparato respiratorio, infezioni delle alte e basse vie respiratorie e complicanze come l’attuale tanto temuta polmonite interstiziale. Da questi dati è nata l’associazione “vitamina D-Covid-19”. Prima di arrivare all’integrazione/terapia farmacologica stiliamo una breve lista di alimenti che è bene includere in una dieta sana, contenenti questa vitamina: tuorlo d’uovo, olio di fegato di merluzzo, pesce (salmone, tonno, sgombro, trota, pesce spada), latte, funghi.