Battendo 3-1 la Lazio (con gol di Fabian Ruiz, Insigne su rigore e Politano), il Napoli di Rino Gattuso chiude al settimo posto la Serie A 2019-2020 e si prepara all’attesissimo match di ritorno degli ottavi di finale di Champions League in programma sabato 8 agosto contro il Barcellona, in una Catalogna dove il Coronavirus sta diventando ogni giorno più aggressivo e pericoloso. Nonostante ciò, e nonostante le legittime proteste dei giorni scorsi da parte del presidente azzurro Aurelio De Laurentiis, i vertici della Uefa hanno, infatti, confermato la sede del Camp Nou dopo le rassicurazioni delle autorità catalane (ma, si sa, lì i blaugrana sono “Più che un club”, come recita il claim della società). Dalla settimana successiva, invece, le fasi finali del più importante torneo calcistico per club al mondo si disputeranno in campo neutro a Lisbona, con la formula delle Final Eight a gara unica a eliminazione diretta, invece dei tradizionali quarti e semifinali con andata e ritorno: una vera e propria rivoluzione che, assieme alla collocazione anomala a metà agosto e alle condizioni diversissime, atletiche e psicologiche, delle varie partecipanti (c’è chi ha terminato il proprio campionato ieri sera, come l’Atalanta, e chi non lo ha mai ripreso dopo il lockdown come l’avversaria diretta Paris Saint Germain), potrebbe produrre davvero qualsiasi risultato e far emergere sorprese clamorose.
In una partita singola, se in serata, anche il Napoli di queste settimane ha i mezzi tecnici per potersela quantomeno giocare con chiunque, in Italia e in Europa, senza sfigurare più di tanto. Anche per questo, dunque, c’è chi all’ombra del Vesuvio sogna l’impresa contro Messi e compagnia. Ma di autentica impresa si tratterebbe, considerato anche che si partirà dall’1-1 di febbraio al San Paolo, risultato che in linea puramente teorica permetterebbe al Barcellona di qualificarsi persino con uno 0-0 casalingo, in virtù del gol segnato fuori casa. Gli azzurri, comunque, andranno al Camp Nou senza nulla da perdere e proveranno ad approfittare dello stadio vuoto e del momento non particolarmente brillante dei blasonati avversari, che in ogni caso partono con i favori del pronostico. A preoccupare, piuttosto, sono le condizioni fisiche di Lorenzo Insigne, infortunatosi ieri sera contro la Lazio e costretto a uscire dal campo in lacrime, non si sa se per il dolore o per la presa di coscienza di un malanno che rischia di fargli saltare la trasferta di Champions. La dinamica dell’infortunio, infatti, è piuttosto chiara e fa temere uno strappo o uno stiramento. Se ne saprà di più, comunque, già nella giornata di domani.
Intanto, però, in attesa del prestigioso match europeo di sabato prossimo, è già possibile stilare un bilancio della stagione italiana dei partenopei, che al deludente settimo posto in Serie A sono comunque riusciti ad affiancare la vittoria della Coppa Italia, peraltro ottenuta superando una dopo l’altra Lazio, Inter e in finale la Juventus ai calci di rigore. Il successo ottenuto nel secondo torneo calcistico nazionale fa diventare Gattuso il terzo allenatore titolato dell’era De Laurentiis (gli altri due sono Mazzarri e Benitez, mentre Sarri aveva concluso il suo triennio azzurro con “zero tituli” in bacheca) e permetterà al Napoli di giocarsi nei prossimi mesi anche la Supercoppa italiana contro i campioni d’Italia (per la nona volta consecutiva) bianconeri e, soprattutto, di accedere direttamente alla fase a gironi di Europa League a dispetto del piazzamento ottenuto in campionato (per inciso, quello azzurro è il club italiano con la più lunga striscia di stagioni consecutive di presenza nelle coppe europee).
La conquista di un trofeo (con la possibilità di vincerne un secondo tra qualche mese) rende certamente meno amara, quindi, la stagione italiana del Napoli e dà un chiaro segno positivo alla finora breve esperienza di Rino Gattuso sulla panchina partenopea. Il tecnico calabrese, infatti, dopo qualche incertezza iniziale, è riuscito a ricompattare un ambiente a pezzi e demotivato dopo il deludente esito del ciclo ancelottiano terminato con l’esonero di inizio dicembre dell’allenatore emiliano; ha saputo ridare un’anima e una rinnovata unità d’intenti e voglia di lottare alla squadra ed è riuscito a reinserire nel nuovo progetto tecnico alcuni calciatori che nella precedente gestione erano, invece, finiti ai margini o avevano molto deluso. Lo ha fatto, e sarebbe ipocrita negarlo, ricollegandosi direttamente all’idea di gioco che aveva caratterizzato i tre anni di Sarri ed era ancora inscritta nel dna di troppi big della rosa azzurra (Insigne su tutti, non a caso rinato), a partire dalla transizione dal 4-4-2 di Ancelotti al 4-3-3, col ritorno di quello stordente possesso palla costruito su una fitta rete di passaggi a uno o due tocchi e su una costruzione dal basso a volte persino troppo esasperata e rischiosa rispetto anche al modello di riferimento. Per fare ciò, la società gli ha comprato due centrocampisti centrali da alternare davanti alla difesa (Demme e Lobotka) nel ruolo che un paio d’anni prima era stato occupato con successo dal pur diversissimo Jorginho. La mossa – che ha colmato il buco in mezzo al campo creatosi dopo le cessioni dell’attuale regista del Chelsea e dello storico capitano Marek Hamsik – ha permesso a Fabian Ruiz di tornare a giocare in questi mesi nel ruolo a lui più gradito di mezzala a destra, con Zielinski sempre più titolare inamovibile sul lato opposto e l’emergente Elmas in rampa di lancio dalla panchina. Man mano che le settimane passavano, e soprattutto dopo la ripresa post-quarantena, il Napoli a partire da queste basi ha saputo trovare un suo equilibrio tecnico-tattico, pur concretizzando ancora troppo poco sotto porta rispetto alla notevole mole di gioco costruita (ma, su questo aspetto, hanno influito i problemi fisici di Mertens – comunque diventato quest’anno recordman di gol in maglia azzurra – e la parabola discendente dell’ultimo Milik) e subendo troppi gol – spesso per distrazioni o superficialità – rispetto alle poche occasioni realmente concesse agli avversari.
Ma il patatrac, purtroppo, era già avvenuto mesi prima, a causa dello sciagurato ammutinamento di novembre contro la società, della conseguente sfiducia in un allenatore comunque di primissima fascia come Carlo Ancelotti e, va detto, di una serie di incomprensibili torti arbitrali (basti citare soltanto quelli – tutti decisivi – verificatisi nei match contro Cagliari, Lecce, Genoa e Atalanta): fattori che, tutti assieme, avevano contribuito a estromettere anzitempo dalla lotta al vertice gli azzurri e fatto letteralmente saltare i nervi a un ambiente che a inizio stagione aveva pregustato ben altro campionato. Sì, perché a settembre scorso il Napoli ancelottiano era considerato sulla carta come la rivale più accreditata della Juventus nella lotta per lo scudetto e, anzi, alcuni osservatori avevano mostrato addirittura di preferire gli azzurri nei loro pronostici estivi, proprio in ossequio alla loro continuità tecnica con Ancelotti rispetto alle possibili incognite della rivoluzione sarriana in bianconero. Poi, le cose sono andate diversamente. Ma la qualità della rosa dei partenopei – che proprio sotto Carlo Ancelotti avevano saputo battere in casa e poi bloccare in trasferta, tra settembre e novembre, il Liverpool campione d’Europa – resta ancora oggi intatta e gli innesti già compiuti in mezzo al campo e poi proprio al centro dell’attacco (cioè, lì dove serviva), con gli acquisti dei giovani centravanti Andrea Petagna e Victor Osimhen, lasciano ben sperare in vista della prossima stagione, a patto però che la società riesca a mantenere in rosa tutti i big, eccezion fatta per coloro che, come Milik o Allan, hanno già da tempo la testa altrove, oppure per chi, come il commovente José Callejòn, è giunto al termine del suo, indimenticabile, percorso pluriennale in maglia azzurra. Non va dimenticato, nel bilancio del campionato azzurro e in prospettiva 2020-2021, che nella classifica del girone di ritorno il Napoli di Gattuso è terzo dietro all’Atalanta e al Milan.
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