Alla vigilia dell’Aversa Pride, la manifestazione per i diritti LGBTQIA+ organizzata dall’associazione Rain Arcigay che si terrà il prossimo 25 giugno nella città aversana, quello delle discriminazioni sui luoghi di lavoro e dei tanti ostacoli che si trovano ad affrontare le persone gay, lesbiche e transgender per inserirsi nel mondo del lavoro resta ad oggi uno dei grandi temi sociali irrisolti. Il lavoro rappresenta infatti uno dei più importanti strumenti di integrazione sociale, ciò acquista ancora più importanza per le persone transgender: le discriminazioni sul lavoro nei loro confronti sono all’ordine del giorno nonostante si tratti di un tema poco trattato dai media. Secondo dati dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, circa il 15% delle persone gay e lesbiche sono state respinte a lavoro per il proprio orientamento sessuale, un dato che sale al 45% per le persone trans. Questa condizione genera tassi di disoccupazione altissimi tra la popolazione transgender.
In base al report su genere e sessualità pubblicato dall’ISS – Istituto Superiore di Sanità, nel nostro Paese le persone transgender adulte sarebbero circa 500mila, cifra in aumento se consideriamo anche la popolazione che ha avviato la fase di transizione. Parliamo dunque di oltre mezzo milione di persone che si trovano a vivere in una condizione di subalternità lavorativa, che non riescono a trovare un’occupazione stabile e vengono ostacolate nel potersi realizzare economicamente. Le indagini condotte dall’Istat sul gender identity gap hanno rilevato che solo il 5% delle aziende hanno adottato misure inclusive per i lavoratori transgender. Ad oggi, infatti, manca in Italia un piano strutturale di diversity management, l’insieme di strategie aziendali che abbiano come obiettivo il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e il riconoscimento delle diversità come risorsa. Le aziende che adottano queste politiche di condotta etica e inclusiva sono ancora troppo poche.
Esistono attualmente norme per la protezione dei lavoratori e delle lavoratrici transgender, come la Direttiva europea 2006/54, ma putroppo non vengono rispettate in Italia. Eppure avere un lavoro stabile, equamente retribuito e soddisfacente non farebbe altro che assicurare una maggiore crescita e integrazione socio-economica. È indispensabile andare a colmare questo gap, motivo per il quale Arcigay, assieme ai sindacati come la CGIL, ha creato delle reti di sostegno e di aiuto per le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ discriminate sui luoghi di lavoro, supportandole nel denunciare comportamenti molesti e di mobbing. A parlarci in maniera esaustiva di questa condizione di ingiustizia è Naidenko, per gli amici Naiden, ragazzo transgender aversano il quale ha vissuto sulla propria pelle cosa significa venire rifiutati a lavoro solamente per essere se stessi. Naiden è un macchinista qualificato e ogni volta che ha provato a cercare lavoro ha ricevuto solo porte in faccia, una situazione che l’ha costretto a lavorare spesso in nero e sottopagato.

“Per le persone transgender come noi non è sempre facile trovare lavoro, e anzi, spesso si tratta di un’impresa ardua se non impossibile”, denuncia Naiden. “Già nel momento dei colloqui di lavoro, se i documenti non coincidono con la propria identità di genere, iniziano a sorgere dubbi e perplessità da parte degli esaminatori e dei datori. Mi è capitato già troppe volte di vedere respinta la mia candidatura senza ricevere motivazioni valide. Queste pratiche escludenti – testimonia il giovane – sono spesso mascherate da pretesti legali, altre volte sono indirette e subdole, e questo evidenzia una mancanza di inclusività alimentata da pregiudizi e luoghi comuni. Chi seleziona i lavoratori li dovrebbe valutare in base alla loro professionalità, le loro esperienze, le competenze e la loro correttezza, senza favoritismi. Purtroppo nella realtà non è così – afferma Naiden – e si arriva al paradosso che molte persone, per ottenere un lavoro, sono costrette a celare la propria identità di genere, senza avere la libertà di poter fare coming out”.
“I problemi non riguardano solo l’accesso al lavoro – prosegue il giovane aversano – ma anche quando si è già al lavoro, in quanto si può subire mobbing da parte dei datori oppure insulti e molestie a sfondo sessuale dagli stessi colleghi. Ciò è aggravato dal fatto che molte aziende non garantiscono tutele effettive nei nostri confronti e spesso siamo da soli a dover fronteggiare pregiudizi e stereotipi di genere. Nei contratti di assunzione – spiega Naiden – c’è scritto che i lavoratori non possono essere discriminati in base all’orientamento sessuale e al genere, ma non è così, per questo c’è bisogno di leggi più efficaci per evitare ogni tipo di esclusione dal lavoro. La non accettazione di chi viene percepito come diverso sfocia spesso in discriminazione, figlia a sua volta dell’ignoranza. Sarebbe già un grande passo in avanti – continua – se le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ possano sentirsi libere di mostrarsi per quello che sono senza subire ritorsioni lavorative. Il lavoro è un diritto di tuttə, è scritto nella nostra Costituzione, e io non ho intenzione di gettare la spugna nonostante i rifiuti e le difficoltà”. Il giovane Naiden lancia infine un appello a tuttə coloro che credono nell’uguaglianza e nei diritti: “L’omotransfobia è ancora dominante nella nostra società e la strada verso l’inclusione è ancora lunga ma non per questo dobbiamo avere paura di uscire allo scoperto. Per tale ragione, il 25 giugno, assieme a tante altre persone trans, gay, lesbiche, bisessuali ed etero sfileremo lungo le strade di Aversa con i colori dell’arcobaleno. Non dobbiamo mai smettere di lottare per una società più giusta e inclusiva”.
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