Una studentessa francese degli anni Sessanta, ventitreenne, prima a sostenere studi superiori in una famiglia di operai, la possibilità di ascendere nella scala sociale e un “evento” assoluto che riempie il corpo, un evento scabroso che non può essere neanche nominato, perché la parola che lo significa è fuori legge, è reato.
Il libro “L’Evento”, scritto da Annie Ernaux nel 1999 e tradotto solo recentemente in italiano dal bravissimo Lorenzo Flabbi per i tipi dell’Orma editore, narra di un’esperienza autobiografica che l’autrice ha vissuto circa quarant’anni prima della scrittura: un aborto clandestino quando in Francia abortire era ancora reato.
Quella che Annie Ernaux ci regala non è solo la storia di una vicenda personale, ma è una storia umana collettiva, perché ogni evento non è mai storia solo di un singolo ma è “Storia” con la “s” maiuscola e come tale appartiene a tutti: maschi e femmine, giovani e vecchi, e va raccontata e compresa affinché non cali il silenzio e non ci si illuda che la presenza di una legge di civiltà, qual è la 194, abbia risolto tutti i problemi relativi ai diritti delle donne.
In un giorno di ottobre del 1963 accade che nella vita di una giovane ragazza, il tempo – che fino ad allora era scandito da lezioni universitarie, film, chiacchierate, biblioteche e bar – smette di essere tempo lineare e progressivo, ma diventa massa informe, amorfa, perché il ventre di questa ragazza smette di essere vuoto. Da quel momento si dispiegano tre mesi di corporeità assoluta e clandestina: nausea, dolore, ricerca spasmodica di un modo per abortire, medici ipocriti, uomini o completamente assenti o sedotti dalla condizione di violazione della legge e della morale incarnata dalla donna incinta, mammane, ferri e tanto sangue. C’è il sangue del corpo della donna e sangue di una vita che non diventerà mai vita, c’è il sangue della morte del corpo di una ragazza che dopo quell’evento non sarà più lo stesso, e c’è il sangue della morte di un corpo che non sarà mai corpo.
In questo libro la Ernaux fa entrare noi lettori in un’esperienza umana che affonda così tanto nella carne che diventa quasi mistica, che provoca così tanto dolore che non puoi non sentire il grido di tutte quelle donne di ieri che hanno vissuto la barbarie dell’aborto clandestino. Tuttavia questa storia non è una testimonianza da confinare nell’archivio della memoria passata perché, nonostante le leggi sull’aborto, ancora oggi gli aborti clandestini sono tantissimi.
In Italia, per esempio, le interruzioni clandestine di gravidanza sono circa 10mila all’anno e tra queste, circa 3mila sono di stranieri (fonte: L’Espresso del 1 dicembre 2019). Nonostante la legge 194, ancora oggi parlare di aborto costituisce un tabù, ancora è un “evento” di cui per la società si devono occupare solo le donne perché riguarda solo le donne. Ed è proprio in virtù di questo silenzio della parola e della riflessione che a mio avviso ancora permangono aborti perpetrati nella clandestinità, nella solitudine e nell’indifferenza o nella condanna dello sguardo della società.
Il libro di Annie Ernaux invece ci obbliga a guardare in faccia questa realtà così scabrosa, così dolorosa e a capire che riguarda tutti noi: uomini, donne, madri e non madri. Oggi purtroppo sembra che la presenza della legge, la presenza del diritto acquisito, ci autorizzi a tenere sepolti questi argomenti. Come dice la stessa autrice: “Il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che le cose sono cambiate”. (p. 24).
Invece non è così e i dati sopra citati di aborti clandestini ce lo dimostrano, come – credo – ce lo dimostrano anche tutte quelle ragazze che con estrema leggerezza si approcciano al sesso senza precauzioni, con la spensieratezza di chi pensa che una pillola abortiva possa cancellare con estrema semplicità una gravidanza indesiderata.
La Ernaux ci mostra che un evento del genere è “indimenticabile”, che non si cancella, che lacera il corpo e l’anima, al di là dei valori religiosi e della morale, al di là della retorica cattolica di chi sostiene che l’aborto corrisponda all’omicidio, al di là delle proprie convinzioni e proprio per questo ci insegna a non pensare che l’aborto sia un’azione che si possa compiere in ogni momento della vita a cuor leggero.
Ma la storia della Ernaux ci obbliga anche a non calare la guardia di fronte ai diritti acquisiti, proprio perché quella clandestinità, quella violenza, quella derelizione che generazioni di donne hanno subito è così atroce che non si deve ripetere più, perché ogni volta che si attacca la legge 194 si indebolisce la vita di una donna.
“Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo”. (pp. 52-53).
Con la lettura di questo testo inoltre il lettore non può non riflettere sul senso della “legge” e del “divieto”: è la legge che determina il male o è il male che determina la legge?
“La legge era dappertutto […] nella vergogna di chi abortiva e nella disapprovazione degli altri. Nell’impossibilità assoluta di immaginare che un giorno le donne avrebbero potuto liberamente decidere di interrompere una gravidanza. E, come al solito, era impossibile determinare se l’aborto era proibito perché era un male o se era un male perché era proibito. Si giudicava in base alla legge, non si giudicava la legge”. (p. 42).
“Nel momento in cui scrivo, alcuni rifugiati kosovari a Calais tentano di passare clandestinamente in Inghilterra, […] si perseguitano gli scafisti, si deplora la loro esistenza come trent’anni fa quella delle mammane. Non si mettono in discussione né le leggi né l’ordine mondiale che ne determinano l’esistenza”. (p. 82).
Conoscere cosa significa abortire, forse può consentire anche di capire cosa significa diventare madre, di capire che essere madre non è un fatto della natura ma è una legge del desiderio. Come ha dimostrato Massimo Recalcati (Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, 2015). del senso della maternità animali e piante nulla sanno perché nella natura c’è riproduzione, c’è trasmissione di geni, ma non maternità come quella umana, sovrannaturale o metafisica, che invece è una vera e propria “adozione”, che consiste in un passo fuori dalla necessità della natura e si risolve in una elezione – in un desiderio – che si fa (almeno nella stragrande maggioranza dei casi) con i mezzi della riproduzione naturale ma non vi si esaurisce.
Il libro della Ernaux è infine anche una riflessione sul senso e il valore della scrittura e della letteratura. Non si può morire senza fare nulla di quanto accade nelle nostre vite e l’unico senso di colpa sarebbe stato non farne nulla di questa “esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto e della legge”. La scrittura è non solo memoria biografica ma dissolve le nostre vite nelle vite degli altri, diventa storia preziosa per chi scrive, per chi legge e per tutte la catena di donne del passato, del presente e del futuro.
Segui già la pagina Il Crivello.it?