Il calcio al tempo del Covid-19, con continui stop and go per tanti calciatori che devono fare i conti con le positività al virus e le relative quarantene, sta mettendo a dura prova la tenuta atletica di troppe squadre di vertice, in Italia e nel resto d’Europa (basti pensare alla discontinuità del Liverpool in Premier League o alle difficoltà di Real Madrid e Barcellona nella Liga). Nonostante le rose decisamente più lunghe rispetto alle altre squadre, ciò vale soprattutto, come detto, per le formazioni di vertice, poiché sono quelle impegnate contemporaneamente su più fronti e, quindi, costrette a giocare da mesi ogni tre giorni, anche a causa dell’assurda compressione dei calendari dovuta alla scelta di recuperare a giugno il campionato europeo per nazionali saltato lo scorso anno per la pandemia e, come inevitabile conseguenza, all’esigenza di concludere tutti i tornei per club entro gli inizi di maggio. Questa situazione ai limiti del demenziale, con i fisici di tanti giocatori a volte fiaccati dalle conseguenze del Coronavirus, oltre che dall’impossibilità di recuperare tra un match e l’altro, sta provocando, ovunque, molti infortuni in più rispetto a ciò che sarebbe accaduto durante una stagione agonistica più normale.
Questa lunga premessa, a mio avviso, è la giusta introduzione a Napoli-Atalanta di ieri sera, la semifinale d’andata di Coppa Italia terminata 0-0 allo stadio Maradona tra sbadigli e delusione degli spettatori seduti davanti ai teleschermi. Le due squadre, per ammissione degli stessi allenatori Gattuso e Gasperini al fischio finale, sono in difficoltà fisico-atletiche (nel caso degli azzurri anche psicologiche) e hanno dovuto gestire la gara centellinando le energie e pensando anche alle partite del weekend in Serie A e al ritorno della semifinale calendarizzato già per mercoledì prossimo al Gewiss Stadium di Bergamo. In particolare, il Napoli ha dovuto fare i conti con le tante assenze contemporanee, che ormai si protraggono da mesi, nel reparto offensivo (oltre che di Fabian Ruiz ancora positivo al Coronavirus) e con uno stato di forma generale che deve legittimamente far parlare di una squadra ancora convalescente. In un simile scenario, dunque, era forse persino inevitabile che il risultato fosse un match nel quale le due contendenti hanno badato soprattutto a non farsi male, con un ritmo di gioco piuttosto basso, continue interruzioni per i numerosi falli (soprattutto quelli, spesso molto duri, dei bergamaschi, in alcuni casi meritevoli di un’ammonizione mai arrivata) e trame di gioco fluite a sprazzi e tra mille difficoltà.
Conscio del momento complesso della sua squadra, Gattuso ha optato ancora una volta per la difesa a tre (in realtà a cinque) sperimentata domenica nel finale contro il Parma, con i terzini Di Lorenzo e Hysaj sulle fasce e il trio di corazzieri Manolas-Maksimovic-Koulibaly a fare muro al centro. Il bunker è stato, quindi, completato dai solidi Bakayoko e Demme a centrocampo, con Insigne posizionato quasi da regista in mezzo al campo e i soli Lozano e Politano in attacco (improponibili in coppia disposti così). Lo schieramento molto solido e prudente, col baricentro bassissimo dell’intera squadra, ha prodotto una notevole solidità difensiva ma anche una quasi nulla capacità di offendere l’avversario. E il Napoli, infatti, nel corso dell’intero match ha costruito soltanto pochissime occasioni da gol: un paio di mezzi tiri di Insigne nel buon avvio azzurro, uno a lato di Diego Demme nel finale della prima frazione e un altro di Lozano nella ripresa. Da parte sua, l’Atalanta ha risposto col tandem Zapata-Muriel in attacco e l’interessante Pessina ad agire in loro supporto. Man mano che i minuti passavano, erano proprio i bergamaschi a prendere il controllo delle operazioni e a farsi pericolosi in più occasioni davanti a Ospina, migliore in campo tra le file dei partenopei e sempre pronto a disinnescare i tiri atalantini, soprattutto su Pessina nel primo tempo e Muriel nel secondo.
Dopo una prima frazione di gara nella quale avrebbero potuto passare in vantaggio, però, nella ripresa anche i nerazzurri di Gasperini hanno capito che sarebbe stato meglio abbassare i ritmi e accontentarsi di un pareggio, che rinvia il verdetto sulla qualificazione al match di ritorno. Nemmeno la girandola delle sostituzioni (con Ilicic in campo per i bergamaschi e Osimhen lanciato nel finale da Gattuso) è servita a restituire un minimo di brio alla gara, con le due squadre che si danno, quindi, appuntamento alla settimana prossima. Al fischio finale, nonostante il momento poco brillante, in casa Napoli ieri sera si respirava comunque una certa soddisfazione (anche per lo scampato pericolo), poiché, avendo mantenuto la loro porta inviolata, mercoledì prossimo gli azzurri potrebbero ottenere la qualificazione per la finale di Coppa Italia anche con un pareggio con gol. E, al tempo del Covid e senza tifosi sugli spalti degli stadi, le differenze tra i match casalinghi e quelli in trasferta si sono quasi azzerate, riducendo in modo notevole l’incidenza del fattore campo.
Appare evidente che Gattuso, uomo saggio ed esperto, abbia calcolato tutto ciò, sperando magari di poter contare anche su una settimana in più di lavoro nelle gambe di un Victor Osimhen che – considerando l’assenza di Mertens destinata a durare ancora – si conferma come il vero giocatore determinante (e condizionante) nella costruzione tecnico-tattica del Napoli di questa stagione: non a caso, nella gara di campionato di ottobre contro la Dea fu lui a mettere a ferro e fuoco in un primo tempo stellare la difesa orobica, poche altre volte così in difficoltà come in quel pomeriggio che appare ormai lontano anni luce.

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