Questa sera le associazioni Officina Femminista e GO! – Giovani Ortesi hanno organizzato, presso l’auditorium del centro studi Massimo Stanzione di Orta di Atella, un incontro/dibattito per celebrare la ventiduesima Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’iniziativa, svoltasi con il patrocinio morale del Comune atellano, si è focalizzata su tutte quelle esperienze di violenza, vissute e troppo spesso non raccontate, che le donne sono costrette a subire ogni giorno in una società ancora legata a tantissimi stereotipi di genere e a una sottocultura di stampo maschilista, sessista e patriarcale. Alla manifestazione di stasera hanno preso parte anche gli studenti della scuola secondaria di primo grado Massimo Stanzione, i quali hanno espresso, per l’occasione, dei pensieri di sensibilizzazione contro la violenza di genere.

Che si tratti di parole sbagliate, di commenti inopportuni e di avances non gradite come il catcalling, di offese personali, intimidazioni o minacce, fino ad arrivare alle violenze fisiche più evidenti come gli schiaffi, le percosse e i maltrattamenti che si consumano nel silenzio delle mura domestiche, o ancora alle violenze più subdole e sottili come la violenza psicologica, la manipolazione, il victim blaming, passando per lo stalking, le molestie, il revenge porn, gli abusi sessuali, la rape culture fino ad arrivare al femminicidio, sono tutti fenomeni sociali e culturali che si manifestano sempre contro le donne, in una società condizionata da valori sbagliati e comportamenti tossici, e nella quale, troppo spesso, non viene rispettata né riconosciuta la dignità della donna.
Si tratta di violenze molteplici, molto diverse tra loro per forma, manifestazione e implicazioni, ma hanno tutte in comune una stessa matrice ideologica, ossia quella di non considerare la donna come un’entità a sé, libera e autonoma, bensì come un “oggetto” subordinato al volere, al desiderio e al potere maschile, quasi come se la donna non avesse un’identità propria ma fosse una proprietà “esclusiva” che spetterebbe di diritto all’uomo. Non c’è nulla di più sbagliato e aberrante che pensare una cosa del genere, eppure questa visione distorta è stata propinata per secoli sopra e dentro il mondo femminile, escludendo le donne dalla vita sociale, politica, economica e culturale in quanto prerogative di soli uomini: se ancora oggi ci troviamo parlare di diritti violati, vuol dire che c’è ancora tanta strada da fare.

Di questo è pienamente convinta Assia Rasulo, presidente dell’associazione Officina Femminista. “Nei luoghi in cui viviamo e lungo le strade che attraversiamo ogni giorno – afferma – cresce in noi la consapevolezza che c’è un’urgenza, ed è quella di unire le nostre voci marginali, dei nostri territori di periferia per essere presenti fisicamente e simbolicamente contro la violenza perpetrata sui nostri corpi, sulle nostre voci e sulle nostre esistenze. Oggi – prosegue – è stata una giornata molto intensa e impegnativa per tuttə noi: non ci siamo fermate un minuto, nemmeno la pioggia ci ha ostacolate. Questa mattina abbiamo partecipato a un convegno sulla discriminazione e sulla violenza di genere dal forte impianto educativo essendo rivolto alle classi terze dell’Istituto comprensivo De Amicis di Succivo. In serata, invece – spiega Assia – il nostro impegno è proseguito nell’incontro organizzato a Orta di Atella durante il quale abbiamo coinvolto gli studenti e le studentesse della scuola Massimo Stanzione nonché i ragazzi e le ragazze dell’associazione giovanile Go!. In vista della giornata di oggi – conclude la presidente dell’associazione – abbiamo anche riverniciato la panchina rossa presente in piazza, la prima dell’Agro atellano contro la violenza di genere, anch’essa purtroppo ferita e deturpata, e che funge da monito di come la violenza patriarcale non sia stata ancora sconfitta“.

Condivide le stesse parole di Assia Miriam Indaco, segretaria dell’associazione Go!: “Oggi siamo state insieme alle donne e alle ragazze di Officina Femminista perché ne condividiamo i pensieri, le analisi, i modi e le azioni. Vogliamo portare le nostre testimonianze di giovani che vivono il territorio e che spesso si trovano a dover fare i conti con i tanti problemi legati alle nuove generazioni. Quando pensiamo a questa giornata – afferma Miriam – non possiamo non fare riferimento alla forma di violenza più tangibile che possa subire una donna e che si traduce nel suo annullamento fisico: il femminicidio. A oggi, in Italia, sono 109 le donne morte per mano della violenza maschile. Quasi ogni tre giorni una donna viene uccisa in Italia dal marito, dal partner, da un compagno, da un conoscente e questo deve spingerci a fare una seria riflessione. Ma lo stesso femminicidio – conclude Miriam – non è che la punta dell’iceberg di un problema molto più grande. Ci sono infatti tante altre forme di violenza, come quella verbale e psicologica che vanno parimenti denunciate e combattute“.
Di un parere analogo è Sofia Duraccio, anche lei attivista dell’associazione giovanile ortese: “Come già affermato da Miriam, esistono varie tipologie di violenza e dietro di esse vi è la convinzione sbagliata che le donne siano inferiori oppure subordinate alla volontà e al potere maschile. Quello della violenza di genere – ribadisce la giovane – è un problema che coinvolge ognuna di noi, perché è culturale, sociale e comportamentale. La strategia che possiamo e dobbiamo adottare per fronteggiare il problema è l’educazione al rispetto della donna fin dalla giovane età. Sul piano psicologico, le conseguenze delle violenze sono devastanti e possono provocare, oltre a traumi dai quali è difficile uscirne, disturbi psichici anche gravi. Cos’è che possiamo fare nel nostro piccolo? – si chiede infine Sofia – Sicuramente bisogna sostenere e aiutare le donne vittime di ingiustizie e di soprusi nel riprendere in mano le loro vite, curando le ferite e il dramma provocato dalla violenza di genere”.

Ma come si è arrivati alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne?
Era il 25 novembre del 1960 quando le sorelle Mirabal, Aida Patria, Maria Argentina Minerva e Antonia Maria Teresa vennero barbaramente trucidate a Santo Domingo dagli uomini del dittatore Rafael Leonidas Trujillo. Le tre donne, dopo essere state fermate e perquisite dagli agenti della polizia di regime, furono portate in un luogo nascosto tra le piantagioni di canna da zucchero: qui, una volta riconosciute, vennero stuprate, seviziate e massacrate di botte. Ridotte in fin di vita, i loro corpi furono gettati giù da una scogliera a bordo della loro auto per simulare un incidente. Il loro brutale femminicidio venne insabbiato inizialmente dalle autorità dominicane, ma la verità venne presto a galla. Le tre erano infatti attiviste del Movimiento revolucionario 14 de Junio, organizzazione politica avversa al regime. Fu chiaro fin da subito che quello delle sorelle Mirabal fu un omicidio politico. Inoltre, una di loro, Minerva, rifiutò le avances del sanguinario dittatore, motivo che gli costò l’arresto e l’incarcerazione prima che la vendetta di Trujillo culminasse con l’uccisione delle tre. Da allora le sorelle Mirabal passarono alla storia come le Las mariposas, “Le farfalle“, per il coraggio mostrato nel combattere per i diritti delle donne e contro la dittatura. Pochi mesi dopo, nel maggio del ‘61, il regime di Trujillo giunse al capolinea con la sua uccisione per mano di un commando armato.
Il 25 novembre del 1981, ventun’anni dopo il loro femminicidio, avvenne il primo incontro internazionale delle donne sudamericane: da quel momento in poi, il 25 novembre, venne assunto come data simbolica per tutto il movimento femminista. Nel 1993, con la Dichiarazione di Vienna, la violenza sulle donne venne riconosciuta come fenomeno sociale da combattere su scala globale. Fu però nel 1999 che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite designò tale data come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sottolineando come la violenza di genere rappresentasse una vera e propria violazione dei diritti umani. A partire da questa ricorrenza l’Onu identifica la violenza di genere come una delle manifestazioni delle relazioni di potere storicamente ineguali fra sessi, nonché uno strumento di dominio e di discriminazione attraverso il quale le donne vengono costrette a rimanere in uno stato di subordinazione rispetto alla volontà maschile. La Conferenza mondiale sulle donne ribadisce inoltre la necessità di adottare misure volte a combattere tutte le forme di disparità di genere. A ciò si aggiunge infine la Convenzione di Istanbul, varata nel 2011 dal Consiglio d’Europa con l’obiettivo di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime e punire i colpevoli.
La storia delle sorelle Mirabal è così entrata a far parte dell’immaginario collettivo di tutte le donne del mondo che lottano per i propri diritti, rappresentando un simbolo di riscatto e di rivalsa femminile. Le tre sorelle sono state ricordate anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel libro Il tempo delle farfalle, racconto al quale si è successivamente ispirato il film In the time of the butterflies con l’interpretazione di una straordinaria Salma Hayek nei panni di Minerva. Uno dei simboli maggiormente usati per denunciare la violenza sulle donne sono sicuramente le “scarpette rosse”, raffigurate per la prima volta nell’installazione Zapatos rojos realizzata dall’artista messicana Elina Chauvet per ricordare la sorella minore uccisa dal compagno all’età di ventidue anni e commemorare tutte le donne rapite, violentate e assassinate in Messico. Da allora l’opera dell’artista ha fatto il giro del mondo, venendo riproposta anche in Italia e diventando così simbolo delle campagne contro la violenza promosse dalle associazioni e dai centri antiviolenza.

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