È stato pubblicato in questi giorni il report semestrale a cura della Direzione investigativa antimafia (Dia) e il quadro che ne esce fuori per quel che riguarda l’organizzazione, il radicamento e il potere dei clan camorristici nell’area settentrionale di Napoli è a dir poco agghiacciante. Quello che emerge, a un primo colpo d’occhio, è lo strapotere della famigerata Alleanza di Secondigliano e del gruppo degli “Scissionisti” i quali dominano e tengono sotto scacco gran parte dell’area nord del capoluogo partenopeo. La disastrosa crisi socio-economica causata dalla pandemia di Covid-19, aggravata ancor di più dalla drammatica guerra russo-ucraina la quale sta avendo gravi ripercussioni sull’economia già fragile e precaria del Meridione, non ha indebolito i clan ma al contrario li ha rafforzati, garantendo la rapida espansione su tutto il territorio dei sodalizi criminali più forti, più violenti e meglio organizzati militarmente. Le organizzazioni camorristiche si stanno infatti muovendo secondo una logica ben precisa, tesa a consolidare il proprio controllo su interi pezzi della provincia di Napoli, letteralmente “divorati” dalla camorra, spesso nell’impotenza o peggio nella collusione delle istituzioni locali e nell’inadeguatezza dello Stato nel combattere e sconfiggere un fenomeno così radicato e profondo.
Una condizione imprescindibile per qualsiasi strategia criminale è quella dell’accumulo di grandi ricchezze e di enormi somme di capitali da investire in qualsiasi momento. Questa immediata disponibilità di liquidità illecitamente acquisita serve a incidere sulla capacità dei sodalizi di inquinare l’economia legale con veri e propri trust imprenditoriali inseriti perfettamente nel tessuto economico, nonché di infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni per intercettare e gestire le risorse pubbliche. Una strategia che secondo i magistrati antimafia è tesa a mettere le mani sui fondi del Pnrr. All’interno di questo scenario i clan agirebbero in maniera fluida e dinamica, secondo variabili e interessi calibrati in base alle realtà locali e ai diversi business di riferimento. In particolare la criminalità organizzata avrebbe consolidato i propri interessi sul settore immobiliare, in quello energetico, sul commercio all’ingrosso, nel settore della ristorazione (bar, ristoranti, pizzerie, ecc.), sulle strutture ricettive destinate al turismo e allo svago (alberghi, stabilimenti balneari, centri benessere, locali, discoteche, palestre, strutture sportive, ecc.), nel settore delle onoranze funebri, nei servizi di vigilanza privata e ovviamente sulle società di costruzioni, compromettendo in questo interi cicli produttivi.
Resta inoltre alto l’interesse della camorra verso altri settori estremamente redditizi come il ciclo dei rifiuti, grazie al quale i clan generano enormi profitti, oltre al controllo degli appalti legati alla gestione della sanità sia pubblica che privata. I clan riescono altresì a costruire una fitta rete di consenso sociale, specialmente tra le fasce più disagiate della popolazione, realizzando una fitta rete di relazioni e di legami con gli esponenti della politica locale e delle istituzioni. La crisi di liquidità acuita dalla pandemia ha colpito specialmente i commercianti spingendoli a chiedere prestiti a tassi usurai a soggetti legati alla malavita a causa della difficoltà di reperire credito bancario. Questo ha permesso alla camorra di mettere le mani, in questi ultimi due anni, anche su tantissime attività commerciali. L’attività dell’usura è stata accompagnata dalla classica richiesta del pizzo ai commercianti per restare “tranquilli” e non avere noie né problemi con i clan, pronti a rispondere con le armi, con le bombe e con violente quanto eclatanti azioni ritorsive nel caso qualcuno si dovesse rifiutare di ricevere “protezione” nelle aree sotto il loro controllo.

La capacità di tessere proficui rapporti con il mondo imprenditoriale e le istituzioni renderebbe persistente la minaccia di infiltrazione nel comparto degli appalti di opere pubbliche, poiché le imprese contigue alla camorra possono disporre delle ingenti risorse finanziarie offerte dai clan e muoversi nei mercati di riferimento in posizione di vantaggio rispetto alle imprese sane, schiacciando la concorrenza grazie a sistemi corruttivi, collusivi o intimidatori nei confronti di amministratori e funzionari pubblici al fine di condizionare le gare d’appalto. L’infiltrazione e il condizionamento degli apparati pubblici sono confermati dai provvedimenti di accesso ispettivo emanati dal Ministero dell’Interno e dal conseguente scioglimento di alcune amministrazioni locali per infiltrazioni camorristiche, come è successo di recente nelle città di Sant’Antimo, Villaricca, Marano di Napoli e Torre Annunziata dove sono emerse le ingerenze della criminalità organizzata nel funzionamento degli Enti. Ciò dimostra come il processo evolutivo avviato ormai da tempo vede le organizzazioni criminali trasformarsi sempre più in imprese d’affari pronte a condizionare i processi politico-decisionali di interi territori fino a intercettare le risorse pubbliche destinate alla realizzazione di infrastrutture e servizi.
Oltre a condizionare l’economia e la vita politica di intere città, restano comunque di primaria importanza per le organizzazioni camorristiche le “classiche” attività criminali che non sembrano aver subito alcuna battuta d’arresto durante la pandemia, ma anzi si sono moltiplicate. Parliamo in particolare dell’estorsione e dell’usura, che rappresentano un vero e proprio cappio al collo per le attività imprenditoriali e commerciali dell’area nord di Napoli, oltre ovviamente al traffico di droga, che continua a rappresentare una fonte di guadagno irrinunciabile per le organizzazioni malavitose. Sono numerosi i quartieri periferici di molte città trasformati ormai in vere e proprie piazze di spaccio, fortezze inespugnabili dove regnano degrado e omertà, nonostante i continui blitz delle forze dell’ordine. Dal punto di vista prettamente organizzativo la camorra si presenta con una struttura a “rete orbitale”, al cui centro persistono i sodalizi criminali maggiori e attorno ai quali ruotano come satelliti organizzazioni minori legate da una comunanza di interessi. Ciò garantisce equilibri che permettono alleanze tra le cosche dei diversi territori, in una sorta di coabitazione pacifica, almeno finché i rapporti durano.
A tal proposito impongono una seria riflessione le parole del Procuratore Capo di Napoli Giovanni Melillo secondo il quale sarebbe stato un grave errore nell’azione di contrasto alla criminalità l’aver sottovalutato le capacità di coordinazione e cooperazione che le organizzazioni camorristiche hanno saputo mettere in campo in questi anni. Questa miopia da parte dello Stato avrebbe impedito di comprendere le dimensioni reali dei cartelli criminali che hanno allargato il loro controllo nell’area metropolitana di Napoli. In particolare i cartelli si sarebbero specializzati in ulteriori campi, dalle truffe assicurative alle frodi fiscali passando per il controllo delle aste giudiziarie fino alla gestione di importanti settori imprenditoriali come quello della logistica, il tutto associato a un’innata capacità nel creare profitti e posti di lavoro. Tali logiche sarebbero aderenti al modello monopolistico, spesso associate a un sempre più ridotto rischio giudiziario grazie alle coperture della politica corrotta, di pezzi deviati delle istituzioni e agli ottimi rapporti intessuti con i “colletti bianchi” e importanti settori della borghesia collusa. Il report stilato dell’Antimafia ci restituisce dunque l’immagine di una camorra napoletana ben organizzata in un “sistema” costruito su più livelli decisionali stratificati e incastrati tra loro, con una struttura consolidata sul territorio, che gode di consenso popolare e politico ed è dotata di un centro di comando composto dai vari capoclan che gestiscono e coordinano i gruppi militari subordinati, pronti ad agire e ad aprire il fuoco nel momento opportuno.

Questo nuovo assetto camorristico è emerso in seguito all’arresto, avvenuto il 7 agosto scorso, della boss Maria Licciardi, detta ‘A Piccerella, reggente dell’omonimo clan Licciardi e allo stesso tempo punto di riferimento per le decisioni, le mosse e le strategie dell’intera Alleanza di Secondigliano, egemone nell’area nord di Napoli. “Lady camorra”, così come è stata soprannominata dagli inquirenti, aveva assunto un ruolo di prim’ordine nella sua famiglia criminale e nel frattempo aveva stretto saldamente nelle sue mani le redini della confederazione camorristica secondiglianese. Attraverso la sua reggenza la camorra della zona settentrionale del capoluogo, controllando la periferia nord ed espandendo la sua influenza sulla provincia, è riuscita a trasformarsi in vera e propria impresa adottando strumenti pervasivi quali la corruzione, il riciclaggio, le ritorsioni, le intimidazioni e le collusioni, costruendo attorno a sé un sistema di potere enorme sul modello “federativo” del clan dei Casalesi, con il quale ha coltivato negli anni rapporti di stima e di rispetto reciproci. Un modus operandi che ha garantito la proliferazione degli affari criminali favoriti dalla continua ricerca di favori e nell’offerta di servizi da e per importanti settori dell’imprenditoria inclini a facilitazioni spesso illecite, in un mutuo rapporto di collaborazione estremamente proficuo fondato sulla logica del do ut des: “Io do a te e tu dai a me”.
Lo scenario criminale partenopeo dimostrerebbe che al di là delle singole vicende riguardanti i diversi gruppi sul territorio, gli attuali equilibri criminali costituiscono l’espressione di un più ampio progetto riconducibile a tre principali organizzazioni: il clan Mazzarella egemone nella città di Napoli, l’Alleanza di Secondigliano che controllerebbe la periferia a nord del capoluogo e il gruppo degli Scissionisti, in rapida espansione nella provincia settentrionale. Tutti e tre i sodalizi camorristici impartirebbero gli ordini alle associazioni a delinquere minori le quali, pur gestendo i propri affari in autonomia, non possono sottrarsi all’influenza dei tre cartelli egemoni, costituendo quindi una sorta di confederazione criminale. La stessa alleanza secondiglianese garantirebbe ai clan Contini, Licciardi, Mallardo e Bosti il controllo di significative realtà imprenditoriali oltre a grosse catene della ristorazione, della distribuzione e delle attività commerciali in gran parte dell’hinterland napoletano. Nello stesso tempo gli affiliati al clan Amato-Pagano, meglio noti come gli “Scissionisti”, sebbene gli arresti subiti di recente, come la cattura a Dubai del boss e superlatitante Raffaele Mauriello, continuerebbero a detenere un ruolo di assoluta centralità nella gestione del contrabbando, del racket e del narcotraffico in gran parte della provincia di Napoli, mantenendo stretta l’alleanza con i “cugini” secondiglianesi.
La criminalità nell’area nord non di rado ricorrerebbe alla violenza per sedare ribellioni o per punire tradimenti e infedeltà. Gran parte degli omicidi e degli agguati di camorra sarebbero collegati spesso a dinamiche di “epurazione interna” finalizzate alla prevenzione di qualsiasi tentativo di alterazione degli equilibri criminali, oppure sarebbero legati a regolamenti di conti e a faide tra clan rivali per il controllo di determinati territori e sfere di influenza. Questo doppio binario caratterizzato dall’alternarsi di periodi di silenzio interrotti dagli spari delle armi evidenzia la loro pericolosità. Anche quando ci sono stati arresti e blitz, le organizzazioni camorristiche si sono dimostrate capaci di rigenerarsi in maniera più aggressiva, spesso prendendo il posto delle cosche indebolite. Le inchieste giudiziarie condotte negli ultimi mesi e le relative sentenze di condanna hanno contribuito sicuramente a depotenziare le “strutture militari” delle organizzazioni ma non ne hanno causato il collasso, potendo i clan contare su una straordinaria capacità di riorganizzarsi attraverso forme di coesione, di consenso e di reclutamento dei nuovi affilitati. Basti pensare che le consorterie più strutturate riescono a garantire un adeguato sistema di sostentamento e di “protezione sociale” ai propri affiliati e alle famiglie dei detenuti grazie a un vero e proprio welfare camorristico. Le scarcerazioni di personaggi di spicco legati ai clan durante la pandemia di Covid-19 hanno inoltre rappresentato una ghiotta occasione per la riorganizzazione e la “chiamata alle armi” dei propri affiliati e sodali.

Una riflessione merita anche l’utilizzo dei social network da parte degli affiliati ai clan. I canali social più popolari come Facebook, Instagram e TikTok sono stati invasi, in questi anni, da messaggi, minacce e video dimostrativi di chiara ispirazione camorristica. Tali atteggiamenti spesso sono diventati virali, sia nell’esaltare le gesta dei camorristi, sia per emularli. Il rischio è che l’identità mafiosa possa prendere il sopravvento attraverso profili social che esaltano la reputazione criminale di boss e affiliati. Inoltre l’appartenenza a determinati gruppi camorristici è diventata, specie per i membri più giovani, motivo di vanto. Attraverso post e foto i giovani appartenenti alle organizzazioni criminali ostenterebbero l’appartenenza ai loro gruppi esaltandone le “azioni di fuoco”. Questa pericolosa deriva criminale, unita alla pratica diffusa dell’ostentazione narcisistica sui social, fornirebbe un chiaro quadro della perversa sottocultura mafiosa che si sta affermando tra i giovani.
È di questo clima di odio e di violenza che si alimenta la criminalità minorile, con baby gang pronte a tutto, anche a commmettere le azioni più feroci, pur di compiere quel “salto di qualità” che gli permetterà di lì a poco di entrare a far parte dei clan più blasonati. Si tratterebbe in particolare di giovani provenienti da quartieri e periferie degradate, senza istruzione, la cui vita è segnata da difficoltà economiche e familiari, i quali vedono nella criminalità una possibilità di “riscatto” e di “realizzazione”, offuscati dalla possibilità di poter ottenere subito denaro e ricchezze, inconsapevoli di diventare carne da macello nelle faide che presto li coinvolgeranno. Siamo di fronte a un fenomeno socio-culturale pericolosissimo, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento e a lasciare dietro di sé una scia lunghissima di sangue se le istituzioni e la scuola non interverranno con tempestività per sottrarre i giovani dalla strada e dalle grinfie della camorra, altrimenti non ci resterà che contare ogni giorno i cadaveri dei morti ammazzati lungo le strade del Napoletano.
Tornando alle dinamiche criminali della provincia partenopea, appare evidente che in molti centri dell’area nord sia in corso da diversi mesi una violenta e sanguinosa faida di camorra per ristabilire i controlli, le gerarchie e gli equilibri criminali sul territorio; una guerra che purtroppo non ha riempito le pagine dei giornali e dei notiziari nazionali come invece avrebbe dovuto, visto che la camorra non è una semplice questione locale ma un problema nazionale. Per questo motivo emerge la necessità di andare ad analizzare, città per città, quello che potrebbe essere definito come una sorta di nuovo processo di riorganizzazione della camorra che sta rimodulando i suoi assetti territoriali.

ARZANO – FRATTAMINORE – FRATTAMAGGIORE – CAIVANO
L’epicentro della nuova faida di camorra è Arzano, città nel cuore dell’area nord di Napoli. Da qui questa nuova guerra tra clan si è estesa a macchia d’olio nelle città limitrofe di Frattamaggiore e Frattaminore. Il popoloso centro dell’hinterland napoletano, storicamente sotto il controllo del clan Amato-Pagano, gli Scissionisti appunto, sarebbe diventato negli ultimi mesi il teatro di una nuova guerra tra bande criminali scoppiata a colpi di agguati mortali, “stese”, bombe e intimidazioni tra gli affiliati di famiglie rivali per il controllo del territorio e che vede contrapporsi i Cristiano da un lato e i Monfregolo dall’altro. Si tratterebbe di due costole arzanesi scisse dallo stesso clan Amato-Pagano, le quali si contenderebbero attualmente la gestione dei traffici di droga e il controllo del racket delle estorsioni. A innescare questa violenta guerra sarebbe stato un sanguinoso agguato consumatosi nel famoso Roxy Bar di Arzano lo scorso novembre, durante il quale venne freddato un affiliato del clan Cristiano e ferite altre due persone contigue allo stesso sodalizio. Nella sparatoria vennero ferite anche due persone innocenti. Ad aggravare la situazione, già incandescente, avrebbero contribuito diverse scarcerazioni “eccellenti” avvenute tra il 2021 e il 2022: sono infatti tornati in libertà il ras del clan Amato-Pagano Giosuè Belgiorno e il boss Giuseppe Monfregolo, capoclan dell’omonima famiglia criminale.
Arzano sarebbe così diventata una polveriera, e assieme a essa, negli interessi dei clan, sarebbe finito anche il controllo di alcuni comuni dell’area nord, tra cui quelli di Frattamaggiore e di Frattaminore, città le cui vocazioni commerciali e imprenditoriali hanno sempre fatto gola ai clan di camorra. In particolare la cittadina atellana, diventata anch’essa teatro di una cruenta e pericolosa faida di camorra, sarebbe così finita sotto le mire espansionistiche del clan Cristiano, alleato alla cosca locale dei Mormile, i cui affiliati continuerebbero a ricevere ordini dal boss Pietro Cristiano nonostante questi si trovi attualmente in carcere. Gli affiliati al clan avrebbero utilizzato sopprattutto i social per ostentare la loro forza e il loro potere. Nel frattempo, nella vicina Arzano, il clan Monfregolo, rivale dei Cristiano, avrebbe “dichiarato guerra” anche alle istituzioni locali, arrivando a minacciare di morte il comandante della polizia municipale Biagio Chiariello. Le indagini sull’increscioso accaduto si sono concluse con l’arresto, lo scorso 23 marzo, di Mariano Monfregolo, fratello del boss Giuseppe Monfregolo, attuale reggente del clan della “167” di Arzano. Nel mirino delle azioni intimidatorie degli Scissionisti sono finiti anche il giornalista anticamorra Mimmo Rubio, attualmente sotto scorta.
Questa faida camorristica nata in seno al clan Amato-Pagano si sarebbe così spostata, per effetto osmotico, anche nella vicina città di Frattamaggiore, teatro negli ultimi mesi di una lunga serie di sparatorie dal carattere intimidatorio culminate con diversi colpi d’arma da fuoco sparati nelle vetrine di tre note pizzerie del posto. A riaccendersi, nella città frattese, sarebbero state anche le vecchie rivalità mai sopite tra il clan Cennamo e il clan Pezzella i quali si contenderebbero la gestione del racket e del traffico di droga tra Cardito, Frattamaggiore e Crispano. La dimostrazione di questa rivalità sarebbe il sequestro, avvenuto il 6 aprile, di oltre cinque quintali di cocaina in seguito a una soffiata dei carabinieri di Giugliano. I Cennamo, i quali sarebbero guidati dal figlio del vecchio capoclan, avrebbero stretto un’alleanza con il clan Amato-Pagano, uscito rinvigorito dopo la scarcerazione del boss Belgiorno. I Pezzella invece, con base a Carditello, già orbitanti attorno al clan Moccia di Afragola, avrebbero stretto a loro volta un patto con il clan Sautto-Ciccarelli di Caivano il quale gestisce il traffico di droga nel famoso “Parco Verde”, complesso di case popolari trasformato dal sodalizio criminale in una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Ai vecchi rancori tra i Cennamo e i Pezzella si sarebbe così sovrapposta anche la guerra in atto tra i Cristiano e i Monfregolo, con un intreccio di alleanze in costante mutazione difficili da decifrare per gli stessi investigatori.
Da Frattamaggiore ci spostiamo nella vicina Caivano, che come dicevamo non è stata risparmiata dalla guerra di camorra attualmente in atto. La città è sotto il dominio indiscusso del clan Sautto-Ciccarelli il quale ha costruito la sua fortuna milionaria proprio sul traffico di droga. Nonostante le dozzine di arresti e sequestri avvenuti in questi mesi proprio nel “Parco Verde”, considerata la base operativa del clan, il sodalizio criminale non sembrerebbe essersi indebolito ma anzi, grazie ai proventi della droga, ha dimostrato grande capacità di rigenerazione e di rinnovamento attraverso il reclutamento di nuove leve pronte a giurare fedeltà ai loro capi. E sempre a Caivano, a marzo scorso, ignoti avrebbero fatto deflagrare una bomba davanti alla Chiesa di San Paolo Apostolo, lanciando un chiaro avvertimento intimidatorio nei confronti di Don Maurizio Patriciello, prete anticamorra che il mese prima era sceso in piazza denunciando l’escalation di attentati e di intimidazioni che si erano consumati a Frattaminore, sua città d’origine. Dunque i legami e i collegamenti tra i diversi clan dell’area nord di Napoli si infittiscono sempre di più, e lo dimostrano le loro modalità d’azione, spesso analoghe, così come la sovrapposizione dei loro interessi su di un territorio molto vasto, costellato da grandi centri abitati.

AFRAGOLA – CASORIA
E lo storico e potente clan Moccia di Afragola? Quale sarebbe il suo ruolo in questa guerra di camorra che coinvolge diversi comuni dell’hinterland napoletano dove sono coesistenti gli interessi del sodalizio criminale afragolese, considerato una delle organizzazioni criminali più potenti d’Europa? Gran parte degli interessi e degli affari criminali del clan afragolese sarebbero attualmente proiettati fuori regione. In particolare gli affiliati del clan avrebbero sposato la linea del “basso profilo” stringendo alleanze con il clan dei Casalesi, stipulando una pax mafiosa con il clan Mazzarella di Napoli e spingendo le proprie mire egemoniche su Roma. Nel contempo avrebbero stipulato anche importanti rapporti di collaborazione con la ‘ndrangheta calabrese e con Cosa Nostra, creando un’articolata e ben radicata rete criminale in tutta Italia. Il clan avrebbe compiuto negli anni un vero e proprio “salto di qualità”, trasformandosi nel tempo una holding imprenditoriale dallo spiccato fiuto per gli affari e per la finanza.
I Moccia avrebbero delegato la gestione delle attività illegali a gruppi di secondo piano, rinunciando al controllo diretto del territorio e concentrando la propria influenza verso ambiti economici più redditizi, dove poter investire le proprie enormi disponibilità finanziarie senza ostacoli né intralci e costruendosi intorno una rete di imprenditori, commercialisti, funzionari pubblici, politici e faccendieri compiacenti. Questo inabissamento ha favorito il sopravvento di gruppi criminali nell’area nord più aggressivi e agguerriti, i quali si starebbero “scannando” per controllare gli spazi vuoti lasciati dai Moccia. Nel frattempo, demandata ai clan satelliti droga ed estorsioni, i settori produttivi di maggior interesse per la malavita afragolese sono diventati quelli della ristorazione, dei servizi alberghieri, del mercato immobiliare, della grande distribuzione, del commercio di carburanti, dei grandi appalti pubblici e della gestione del ciclo dei rifiuti. A dimostrare quanto appena affermato è stata l’operazione “Petrol Mafie Spa” e gli interessi accertati del clan sulla gestione del settore ristorativo nella Capitale. Parliamo di un business, secondo stime approssimative, del valore di centinaia di milioni di euro. Tuttavia la stessa città afragolese non sarebbe esente da gambizzazioni e agguati mortali, l’ultimo consumatosi lo scorso febbraio nel rione “Salicelle”, al fine di soffocare nella violenza alcune contese sorte nella gestione delle piazze di spaccio.
Anche nella vicina città di Casoria, in passato sotto l’influenza dei Moccia, si è tornato a sparare, con un uomo, l’ultimo, ucciso nella sua auto a colpi di pistola nel mese di marzo. In città è scoppiato infatti un violento scontro armato per il controllo e la gestione delle piazze di spaccio tra due sodalizi minori, entrambi ex satelliti del clan Moccia. In particolare Salvatore Barbato, alias Totore ‘o cane, reggente dell’omonimo clan, avrebbe assunto una gestione autonoma delle attività criminali sul territorio “mettendosi in proprio”, estromettendo gli alleati dagli affari e ricorrendo non di rado a raid punitivi nei confronti di eventuali ribelli o “infedeli”, sposando al tempo stesso una politica conflittuale contro i clan secondiglianesi per il controllo delle piazze di spaccio del “Parco Smeraldo”. Tensioni sfociate successivamente in una tragica sparatoria avvenuta nell’estate del 2021 durante la quale venne ucciso per sbaglio il diciannovenne Antimo Giarnieri. In merito a questa triste vicenda, lo stesso reggente del clan Barbato venne raggiunto da un provvedimento cautelare, unitamente a un’altra persona, in quanto indagati come i mandanti dell’omicidio del giovane innocente.

SANT’ANTIMO – CASANDRINO – GRUMO NEVANO
La città di Sant’Antimo, la cui amministrazione è stata notoriamente sciolta nel 2020 per infiltrazioni camorristiche, continua a essere la roccaforte della “triade camorristica” composta dai clan Verde, Puca e Ranucci. Nella città del Napoletano sono stati tuttavia emanati, tra il 2020 e il 2021, diversi provvedimenti giudiziari che hanno colpito soprattutto il clan Puca il quale aveva creato negli anni un consolidato sistema di commistione con la politica locale, arrivando a controllare importanti attività imprenditoriali del territorio tra cui strutture sportive, palestre e centri benessere. Le indagini della Magistratura hanno fatto altresì emergere come ci fosse una fitta rete di collegamenti tra la criminalità organizzata santantimese e le infiltrazioni camorristiche rilevate nella cittadina casertana di Orta di Atella, città a quanto pare “gemellate” da uno stesso legame criminale e conseguentemente accomunate da uno stesso drammatico destino. Attualmente il sodalizio dei Puca, sebbene indebolito dall’azione giudiziaria e dalle confessioni di alcuni pentiti, sarebbe retto dai capoclan Pasquale Puca, detto Pascalin ‘o minorenne, e da suo figlio Luigi Puca i quali, anche se attualmente detenuti, manterrebbero viva la loro presenza e influenza in città.
In merito agli altri sodalizi storicamente egemoni nella zona di Sant’Antimo e nei comuni limitrofi, il clan Verde risulterebbe attualmente gestito da una leadership parentale il cui vertice avrebbe coagulato intorno a sé un gruppo ristretto di familiari, di fedelissimi e di giovani pregiudicati senza particolari velleità criminali, soprattutto dopo la faida scoppiata con i rivali del clan Puca che ha indebolito il sodalizio e disseminato negli anni passati le strade di Sant’Antimo di morti e feriti. Per quel che riguarda invece il clan Ranucci, composto dalle famiglie Petito, D’Agostino e Bottone, in seguito all’arresto nel 2018 a Formia del boss e superlatitante Filippo Ronga, catturato dai carabinieri durante una maxi retata finita in sparatoria, gli inquirenti registrerebbero uno stato di apparente “quiescenza” del sodalizio criminale sebbene diversi affiliati di rango si troverebbero attualmente a piede libero, interessati anche loro al mondo degli affari, della politica e dell’imprenditoria anche al di fuori dei confini santantimesi.
Nelle città contigue di Casandrino e di Grumo Nevano si registra ancora la presenza sul territorio dei clan Marrazzo e Aversano, sebbene i maggiori esponenti delle famiglie malavitose delle relative cittadine, compresi i capoclan, risulterebbero attualmente tutti detenuti in carcere. In particolare uno degli esponenti di spicco del clan Marrazzo ha avviato, dopo il suo arresto avvenuto nel 2020, un percorso come collaboratore di giustizia, permettendo la disarticolazione della cosca malavitosa.

GIUGLIANO IN CAMPANIA – QUALIANO – VILLARICCA
Il territorio di Giugliano in Campania e delle aree limitrofe resterebbe saldamente nelle mani del clan Mallardo il quale, dopo aver superato i contrasti interni insorti con la fazione scissionista dei Paparella, manterrebbe l’egemonia incontrastata sul proprio territorio di riferimento anche in virtù dell’adesione all’Alleanza di Secondigliano. Il clan giuglianese mantiene ottimi rapporti anche con gli altri clan “vicini” operanti nell’area nord di Napoli e nell’Agro aversano, in particolare con i Polverino e i Nuvoletta di Marano, con i Ferrara-Cacciapuoti di Villaricca e con il clan dei Casalesi, specialmente con la fazione dei Bidognetti, egemone nell’area di Villa Literno e di Castel Volturno.
Il sodalizio ha diramazioni anche nella vicina Qualiano, città nella quale operano anche le famiglie dei D’Alterio-Pianese e la cosca dei De Rosa, ma sui quali i giuglianesi eserciterebbero con una sorta di “supervisione” sugli affari illeciti affinché tutto vada liscio. I Mallardo, nel corso degli anni, avrebbero esteso i propri affari al di là dei confini regionali, mettendo radici soprattutto nelle regioni del Centro Italia, dove hanno investito le loro ingenti risorse finanziarie in attività di riciclaggio di denaro e nel reinvestimento dei capitali illeciti. Numerosi sono stati i sequestri operati durante l’estate del 2021 di beni e di capitali del valore di dozzine di milioni di euro a professionisti e imprenditori operanti nei più svariati settori economici ritenuti dagli inquirenti vicini al clan. Tra le attività illecite svolte, oltre a quelle tradizionali, il sodalizio sarebbe dedito anche alle turbative d’asta e alle lottizzazioni abusive, il che denoterebbe una certa abilità e scaltrezza nell’infiltrarsi nelle maglie della gestione della cosa pubblica.
Villaricca, come dicevamo, vede invece l’atavica presenza sul territorio del clan Ferrara-Cacciapuoti il cui capoclan risulta attualmente a piede libero e che nel corso degli anni avrebbe cementato legami importanti con i Nuvoletta, i Polverino e i Mallardo. Le ipotesi di infiltrazioni camorristiche nella gestione del Comune di Villaricca hanno portato il Prefetto di Napoli a nominare una commissione d’accesso agli atti le cui risultanze si sono concluse con lo scioglimento del consiglio comunale e del commissariamento dell’amministrazione nell’agosto del 2021.
MARANO DI NAPOLI – CALVIZZANO
Nel giugno del 2021 è stata sciolta per infiltrazioni camorristiche anche l’amministrazione comunale di Marano di Napoli. La presenza della criminalità organizzata sul territorio maranese è rappresentata storicamente dalla presenza dei clan Polverino, Nuvoletta e Orlando. Questi, negli anni, hanno condiviso tra loro la gestione delle attività illecite manifestando un prioritario interesse per il settore degli appalti pubblici e delle costruzioni oltre che per il traffico di stupefacenti. Le predette consorterie disporrebbero di una struttura tale da controllare la gestione delle attività illecite e il riciclaggio dei loro proventi anche fuori dalla Campania attraverso una ramificata attività imprenditoriale riconducibile alle stesse organizzazioni. A confermare la tendenza al reinvestimento dei capitali illeciti in imprese apparentemente legali ci sarebbero i numerosi provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla Prefettura di Napoli nei confronti di diverse società operanti sul territorio maranese.
E se i Polverino avrebbero preferenze nel settore dell’edilizia e in quello della compravendita degli immobili, riorganizzando il clan su modello di una holding finanziaria, lo stesso si potrebbe dire per gli Orlando, specializzati a loro volta nel narcotraffico e nel riciclaggio di denaro sporco, tanto da spingere la loro egemonia fino a Calvizzano. L’operazione “Olympia” ha permesso altresì alla guardia di finanza di far emergere l’enorme mole di interessi affaristico-criminali gestiti in Sardegna da diversi prestanome, meglio noti in gergo dialettale come “cape e lignamme”, per conto dello stesso clan Orlando, i quali avrebbero reinvestito i proventi della droga su immobili, alberghi e beni di lusso nell’isola sarda.

MELITO DI NAPOLI – MUGNANO DI NAPOLI – CASAVATORE
Le recenti attività d’indagine svolte dalla Direzione investigativa antimafia nei comuni di Melito di Napoli e di Mugnano di Napoli hanno fatto emergere come nelle due città confinanti siano ormai egemonici gli Scissionisti del clan Amato-Pagano. La detenzione dei capi storici del clan non sembra infatti aver pregiudicato o intaccato la gestione del traffico di droga e delle estorsioni che il sodalizio criminale eserciterebbe in regime monopolistico, rifornendo con ogni tipo di sostanza stupefacente e a prezzi stracciatissimi i gruppi ad esso alleati, creando così una sorta di legame di “fidelizzazione” dei clan più piccoli. Gli Scissionisti sono anche noti con lo pseudonimo di “Spagnuoli” in quanto avrebbero costruito le proprie basi per il traffico di droga in Spagna. Gli stupefacenti arriverebbero infatti via mare fino a Napoli dai porti di Malaga e di Barcellona. Non è un caso che il boss Raffaele Amato, soprannominato ‘O Spagnuolo, dopo aver intrapreso una sanguinosissima guerra di camorra nei primi anni 2000 contro i rivali del clan Di Lauro innescando la famigerata faida di Scampia, passata alla storia per la sua violenza nonché il coinvolgimento e l’uccisione di persone innocenti, sia stato arrestato nel corso di una retata avvenuta nella città di Marbella, in Andalusia.
Sebbene la città di Casavatore si trovi formalmente sotto la reggenza del clan Ferrone, per la sua vicinanza ad Arzano sembrerebbe anche qui forte la presenza degli Scissionisti del clan Amato-Pagano, i quali si sarebbero insediati nella cogestione criminale del territorio in seguito all’arresto dello storico capoclan della città. I due clan agirebbero infatti fianco a fianco in una sorta di simbiosi. Nella zona del “Parco delle Acacie”, invece, per la sua contiguità al rione Berlingieri, teatro di frequenti operazioni di polizia, si registrerebbe la presenza del clan Carella, satellite del clan Licciardi, appartenente a sua volta all’Alleanza di Secondigliano. Gli equilibri camorristici si reggerebbero in città grazie a una solida pax mafiosa tra scissionisti e secondiglianesi.
ACERRA – CASALNUOVO – VOLLA
La criminalità ad Acerra sembrerebbe per ora scollegata dalle dinamiche criminali dell’area nord di Napoli, con vari gruppi camorristici che agirebbero in autonomia e spesso in lotta tra loro. Nella fattispecie agirebbero attualmente nella città acerrana i gruppi Avventurano, Di Buono, Tedesco, Andretta e Carofaro. Gli Avventurano hanno visto tornare in libertà il loro capoclan: si tratta di un gruppo caratterizzato da una forte connotazione familiare dedito principalmente allo spaccio di stupefacenti e alle estorsioni sui cantieri edili. Nell’orbita del clan Avventurano agirebbe anche il clan Andretta. Il gruppo dei Di Buono detto dei “Marcianisiell”, anch’esso a connotazione familiare, sarebbe dedito perlopiù allo spaccio di droga. Gli affiliati al clan Tedesco, alias “Pintonio”, oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti e al racket delle estorsioni, svolgerebbero il ruolo di palazzinari: il sodalizio sarebbe coinvolto nell’assegnazione “forzata” di alloggi popolari cacciando via i legittimi assegnatari e assegnando le case ai nuovi occupanti abusivi dietro il pagamento di una tangente. I Tedesco sarebbero inoltre imparentati con il clan Terracciano dei Quartieri Spagnoli. Attivo nello spaccio della droga anche il gruppo dei Carofaro. La camorra acerrana manterebbe tuttavia buoni rapporti con l’Alleanza di Secondigliano.
A Casalnuovo e a Volla, infine, si registra la presenza di soggetti di particolare spessore criminale che farebbero da referenti al clan Veneruso, guidato dal ras Antonio De Luca, attualmente sottoposto agli arresti domiciliari in provincia di Caserta da dove impartirebbe gli ordini ai suoi sodali dopo essere stato scarcerato a causa dell’emergenza Covid. Il sodalizio criminale sarebbe pertanto attivo nella gestione di attività illecite tradizionali reinvestendo i profitti in ambito imprenditoriale, in particolare nel settore alimentare, dei trasporti e della logistica. Il clan sarebbe entrato a far parte sia dell’orbita dell’Alleanza di Secondigliano, in particolare stringendo buoni rapporti con il clan Contini, e al tempo stesso avrebbe intessuto ottimi legami con la camorra del Vesuviano, specialmente con il clan Gallo-Cavalieri, trasformando il territorio vollese in un “ponte di collegamento” per la circolazione dei traffici illeciti tra l’area metropolitana di Napoli e la zona vesuviana.
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